Non ricordo di preciso che anno fosse, solo ricordo che ero ancora bambino e che primo ministro era Giorgos
Papandreou, il nonno dell’attuale premier. Dunque doveva essere il 1963, o forse il 1964, o forse prima del 1963. Grandi e bambini stipati in una sola macchina, perche’ solo uno dei grandi aveva
una macchina. Di seconda mano naturalmente. Arrivare a Vouliagmeni dal centro di Atene era una specie di viaggio, ma alla fine ci scatenavamo tutti nell’acqua, mentre dalle pinetine tutto intorno
arrivava il profumo della resina e il rumore delle cicale. Dopo il bagno la taverna. Il padrone dormiva su una sedia scomodissima con il fondo di paglia, la testa appoggiata su un tavolo coperto
con una cerata. Si svegliava suo malgrado e ci guardava come fanno i gatti quando gli si interrompe il sonno. Un giro di retsina, con un sorso permesso pure ai bambini, due fogli di
carta appoggiati sulle cerate di due tavoli avvicinati e poi arrivavano patate fritte, keftedes, bifteki, pastitsio, insalata, ed un mare di pane. Per i grandi tre-quattro barbuni (triglie),
melitzanosalata e feta condita con olio d’oliva ed origano. E ancora un mare di pane. Altro ricordo: non c’era lo stereo nella taverna, ma il padrone aveva un giradischi dove metteva a
ripetizione 45 giri con le canzoni di Theodorakis, Hatzidakis, Tzitzanis. Si stava a tavola per ore, fino a quando uno dei grandi si alzava e diceva „pame pediá“ („andiamo ragazzi“). Il padrone
capiva al volo e si avvicinava per preparare il „loghariasmó“, il conto insomma. Non aveva segnato niente, ma guardava i piatti svuotati da questa truppa di affamati e recitava tutto quello che
avevamo mangiato scrivendo piatto per piatto quello che secondo lui era il prezzo su un blocchetto di foglietti di carta. Solo un grande pagava: gli altri lo avrebbero fatto un’altra
volta.
Una delle tante altre volte a Vouliagmeni doveva essere il 1971, anzi giurerei che era proprio il 1971 (al massimo
il 1972). Dal centro a Vouliagmeni ora ci si arrivava con una grande strada a tre corsie per senso di marcia, con uno spartitraffico a prato verde. Avevano costruito tanti condomini (belli) con
vista mare, da Faliro in poi. A Vouliagmeni l’EOT (l’Ente Nazionale del Turismo) aveva costruito quello che in italiano si chiamerebbe uno stabilimento balneare, con tanto di prato, docce,
cabine. E noi proprio la’ andavamo a fare il bagno, pagando il biglietto d’ingresso. La taverna ed il suo padrone erano ancora al proprio posto, cosi’ pure i tavoli rustici coperti da cerate e da
fogli di carta. Anche quello che mangiavamo ed il finale con il „pame pediá“ non cambiava. Pero’ a Vouliagmeni questa volta ci eravamo arrivati con due macchine, ed una non era di seconda mano,
ma di prima. Altre cose erano cambiate. Per esempio, al posto del giradischi „mono“ c’era uno stereo, e soprattutto non c’erano le canzoni di Theodorakis. Il fatto era che allora governava la
„Junta“, insomma i colonnelli, e che Theodorakis era stato proibito.
Nel 1974 ci fu la tragedia di Cipro, seguita dalla fine della Junta e dal governo Karamanlis. Ed il motto era
diventato „Anoikomen eis stin dhisin“ („apparteniamo all’Ovest“). Negli anni che seguirono la gente si scatenava a consumare, a comprare, a vendere. Le signore non andavano piu’ a farsi fare i
vestiti dalle sarte, ma andavano a comprarli nelle boutiques all’italiana di Kolonaki. E, dopo Kolonaki, le boutiques apparvero anche a Glyfada ed a Kifissiá. Bisognava rinnegare il piu’
possibile il passato per dimostrare di entrare a testa alta nella Comunita’ Europea (si chiamava cosi’ allora). Intraprendenti giovanotti rilevavano le taverne per trasformarle in pizzerie
all’italiana o ristoranti alla francese, dove si spendeva un occhio della testa per mangiare tagliatelle e tortellini inondati da panna o bistecche semicrude. Sparivano le macchine di seconda
mano e si moltiplicavano le macchine nuove, in gran parte di fabbricazione giapponese e poi coreana.
Il resto e’ storia recente. Ero abituato a prendere l’ilektrikó, una specie di metropolitana
d’annata che viaggiava in gran parte in superficie, ed il trolley, una vecchia filovia di fabbricazione italiana. Con le Olimpiadi arrivavano due linee di sotterranea da far invidia alle capitali
del Nord Europa, tram modernissimi che arrivano fino alla costa, la Attiki Odós, autostrada periferica che ti porta da una parte all’altra della citta’ senza farti passare per le zone
densamente abitate. E tante altre cose ancora. Alcune bellissime, altre belle, altre decisamente meno. Con la crisi mondiale e’ pero’ arrivato il loghariasmó, insomma il conto
da pagare. Ed anche la scoperta che di soldi per pagarlo non ce ne sono abbastanza, o forse non ce ne sono. L’Unione Europea, la BCE e le istituzioni finanziarie internazionali invitano
Parlamento e Governo a mettere a posto i conti pubblici, ed i cittadini a consumare di meno ed a produrre di piu’. Penso ci sia pero’ una precondizione per riuscire in quello che viene
raccomandato a questo Paese, e questa dipende da chi ci vive. E’ smettere di vergognarsi del passato, di quel passato in cui mangiando in taverna su tovaglie apparecchiate con fogli di carta e
facendosi fare il vestito dalla sarta (o dal sarto) si poteva lo stesso essere felici.