Dino (Corrado) ha un fisico asciutto, con una faccia bruciata dal sole e
dal sale come tutte le persone che hanno passato quasi tutta la vita all’aria aperta vicino al (o nel) mare. E’ abbronzato pure a Gennaio ed appena puo’ la prima cosa che fa e’ togliersi i
mocassini color cuoio che porta tutto l’anno, e mai con le calze. Indossa jeans color crema (ma ne deve avere una collezione intera, visto che sono sempre pulitissimi) e t-shirt nere, quasi
sempre sbiadite. Ha una decina d’anni piu’ di me, cosa che lo inserirebbe automaticamente nella categoria degli anziani maturi, pero’ ha il vezzo di togliersi due
anni.
Con Dino, quando sono in Italia, facciamo passeggiate lungo il porto:
prima sul molo e poi lungo la banchina, per finire (quando e’ ora) al mercato del pesce piu’ importante del basso Adriatico. Non c’e’ mai molta roba al mercato, o almeno non c’e’ quando ci
andiamo noi, ma e’ sempre in generale eccellente. E’ lui che mi ha insegnato i nomi di tutti i pesci, ed anche a distinguere il pesce freschissimo da quello fresco, quando invece che al mercato
andiamo davanti a qualche pescheria. “Quello e’ fatuo”, dice indicando il pesce da evitare, e torna ad interrogarmi sui diversi criteri che permettono di emettere la sentenza di freschezza o di
“fatuita’”. “Tu devi capire che per noi tutto comincia e finisce con il mare. La meta’ dei miei concittadini e’ fatta da pescatori, l’altra meta’ da ‘imbarcati’” dice, evidentemente
esagerando.
“I banchi semivuoti non sono un fatto nuovo da noi”, aggiunge; “e’ cosi’
dal tempo della battaglia di Lissa, anzi da prima della battaglia di Lissa, ed e’ per questo che abbiamo cominciato a cercare il pesce piu’ lontano. Il mio trisavolo materno lo andava a cercare
in Austria”. Dice proprio cosi’, “in Austria”, come avrebbe detto il trisavolo, perche’ ai suoi tempi le isole che stanno di fronte e la costa che le accompagna erano Austria. “In tanti, in
Austria, ci sono rimasti e sono diventati poliglotti. Parlavano il nostro dialetto, quello veneto-dalmata, il tedesco ed il croato. Con l’italiano continuavano ad avere problemi, come sempre.
L’anno scorso il trisnipote di uno di loro e’ venuto qui in citta’: non parlava una parola di italiano, aveva un nome ed un cognome slavi, ma sapeva benissimo che cosa sono le orecchiette. Sai di
che cosa abbiamo parlato, in veneto? Di pesce ovviamente, ma anche di vino. E li’ non ci siamo trovati d’accordo. Primo perche’ lui dice che sul pesce si deve bere il vino rosso (‘nero’ lo chiama
lui) ed io invece alla sola idea rabbrividisco. Secondo perche’ dice che il vino “nero” della Puglia e’ uguale a quello delle sue parti perche’ e’ dalle sue parti che pescatori e marinai
portarono le uve per farlo, mentre io penso che sia accaduto il contrario. Terzo perche’ ha l’usanza di aggiungere al vino rosso acqua minerale, mentre io la aggiungo al massimo al vino bianco.
Quella cosa la chiama ‘bevanda’, io non la bevo neppure se mi sparano”.
Intanto, a forza di parlare di pesce, di isole, di Austria e di vino si
e’ fatta l’ora. Dell’aperitivo per me, della granita di limone per Dino. Dino dice di detestare gli aperitivi: “se ti piacciono mi dici perche’ stai qui a perdere tempo con me invece di andartene
ai Caraibi? Gli aperitivi sono roba per Hemingway, non per noi”. Intanto, finita la granita, Dino si butta sulle olive e sui canape’ che mi hanno portato per reggere meglio il mio Martini (come
quasi ovunque fatto male e servito peggio). Tempo un tre minuti, e tutto quel ben di Dio che mi avevano portato per reggere l’aperitivo e’ finito nello stomaco di Dino. Olive e canape’ dopo la
granita di limone: ho detto tutto. “Tu non sai” – attacca, ed invece io so che adesso sta per cominciare una nuova conferenza. “Noi, pescatori ed imbarcati, non siamo andati solo in Austria, ma
molto piu’ lontano”. “Certo – sentenzio – in America del Nord e del Sud, in Australia, in Germania, in Svizzera, ...” “Si vabbe’, ma la’ hanno cominciato ad andarci tardi, prima andavano in altri
posti. Il vero uomo di mare – aggiunge - quando smette di andar per mare non va nei posti ricchi, ma in quelli poveri o in quelli cosi’ cosi’”. Non cerco di approfondire e rimango ad
ascoltare. “Metti per esempio Corfu’, i nostri hanno cominciato ad andarci quando ancora c’erano gli inglesi”. “Prima del Congresso di Berlino dunque” – replico (e mi sento un saputello). “Come
dici tu, prima di quello, insomma ai tempi del mio quadrisavolo. Dovunque ci siano barche, pesce, vino ed olio, noi ci andiamo. Per esempio, siamo andati in Crimea e ci sono ancora oggi
discendenti di miei concittadini in Crimea”. Faccio la faccia di uno che cade dalle nuvole, e Dino se ne accorge. “Ma come non lo sai? Ma se lo sanno pure al Comune!”. “Pure con questi hai
parlato di vino e di pesce?”. “No, questi non li ho ancora visti, e nemmeno so se poi alla fine il Comune li ha invitati a venire da noi. Io in Crimea ci vorrei andare, muoio dalla curiosita’. E
poi chi lo sa, forse potrei incontrare una signorina russa, anche anzianotta mi andrebbe bene”. Si toglie i mocassini e resta a piedi nudi. Lo sguardo e’ perso e sogna la costa di Sebastopoli.
Che non ha mai visto. “Domani torna qui, ma vieni piu’ presto” – mi raccomanda. “Il fatto e’ che ti devo far vedere come fanno a dare l’antivegetativo alle barche, anche se ora non e’
stagione”.