Overblog
Suivre ce blog Administration + Créer mon blog
31 octobre 2011 1 31 /10 /octobre /2011 13:50

Ana insegna all’Universita’ a Bratislava. Abita in una casa sulla collina vicino al castello, con marito, due figli, tre gatti ed anche un fox terrier. Non ha la patente, non guida: „a che mi servirebbe? Il tram passa a duecento metri da casa e qui a Bratislava abbiamo il privilegio di avere addirittura due aeroporti: il nostro e quello di Vienna, a qualche decina di chilometri. Quando devo andare da qualche parte all’estero prendo la navetta e sono subito in aeroporto e se tutto va male all’aeroporto mi ci porta mio marito. Adesso ha una Octavia, sai?“. Reddito familiare medio-alto, stile di vita sobrio, quasi scandinavo. Fine settimana passati a lavorare in giardino.

 

Jacek e’ molto piu’ giovane di me e di Ana, e’ single ed occupa un bell’appartamento ristrutturato nel centro storico di Cracovia, come dire in uno dei posti piu’ belli d’Europa, se non del mondo. Fa l’avvocato, ed e’ anche molto stimato, conosce un mare di gente ed e’ in confidenza con qualche membro del Sejm, il parlamento polacco. „Erano compagni di Universita’“, ci tiene a precisare, cosi’ come tiene a ripetere una frase: „sono polacco ma non sono cattolico“.

Csába e’ nato in un villaggio vicino al confine austriaco: „quando ero ragazzo, d’estate, la cosa che mi divertiva di piu’ era cercare un posto dove sistemarmi e puntare il mio binocolo a ovest, per vedere come vivevano dall’altra parte. Adesso dove c’era il filo spinato ci passa una pista ciclabile“. Vive a Budapest da piu’ di vent’anni. Ha lavorato a lungo nell’alta amministrazione dello Stato, a contatto diretto e giornaliero con Segretari di Stato e Ministri; adesso ha una piccola societa’ di consulenza. „I problemi dell’Ungheria di oggi  - e’ solito dire -   dipendono dal fatto che abbiamo cominciato prima degli altri; siamo stati degli ottimi scattisti, ma ci siamo stancati e fatichiamo a tenere il passo dei maratoneti“.

Ana, Jacek e Csába sono fra i miei migliori amici. Ci sentiamo in videoconferenza non meno di due volte al mese, tutti insieme. Ci incontriamo anche, quando possibile: diciamo un paio di volte l’anno. Con Csába e’ piu’ facile, vuoi perche’ siamo piu’ vicini vuoi perche’ ci occupiamo piu’ o meno delle stesse cose e finiamo col ritrovarci alle stesse conferenze ed agli stessi seminari.

In videoconferenza parliamo di cose comeil costo della vita, l’educazione dei figli, viaggi e vacanze, musica e cinema, arrivando sempre a sintesi che toccano i grandi temi della politica e dell’economia. Ana, Jacek e Csába hanno una caratteristica in comune: sono esemplari quasi perfetti di quella societa’ di mezzo che e’ uno dei migliori risultati dei processi iniziati da piu’ di due decenni nei loro Paesi. Societa’ di mezzo intesa non tanto come sinonimo di classe media, quanto per indicare quella buffer zone che sta fra i cittadini comuni ed il potere. La societa’ di mezzo e’ a  proprio agio sia con gli uni che con l’altro. Degli uni e dell’altro conosce tutti i punti di forza e quelli di debolezza. Parla „la lingua“ degli uni e dell’altro. In definitiva svolge un ruolo di mediatore culturale, con un valore aggiunto rappresentato dall’esperienza tecnica e dalla capacita’ di rappresentazione della realta’, a favore degli uni e dell’altro. La ascolta il potere, la ascoltano i cittadini comuni.

Jacek, galvanizzato dal miracolo economico che ha toccato e continua a toccare il suo Paese, l’unico in Europa passato indenne attraverso la crisi, e’ un liberista convinto e non ama affatto l’euro. „Noi avremmo tutte le carte per entrare in Eurozona   - sostiene -  ma siamo una grande economia, la quinta dell’Europa Continentale, non siamo la Slovenia o l’Estonia, per loro e’ un altro discorso. Guardiamo a Nord ed ad Est ed abbiamo la forza per diventare un grande Paese esportatore, non credo che almeno per ora adottare l’euro sarebbe un buon affare. E poi         - aggiunge -    perche’ noi, usciti solo da poco dalla poverta’, dovremmo farci carico dei problemi di quei Paesi che sono vissuti al di sopra dei propri mezzi? Il nostro debito pubblico e’ di poco superiore al 60% del PIL, mica sopra il 100% come nel caso della Grecia, dell’Italia, del Portogallo, dell’Irlanda, e del Belgio“. Finale con orgoglio nazionale: „adotteremo l’Euro quando ci pregheranno di farlo, quando saremo definitivamente nel gruppo dei Paesi piu’ ricchi ed economicamente stabili d’Europa. In vent’anni ci saremo riusciti, vedrai“. A guardare il passo quasi ’asiatico’ delle variazioni percentuali del PIL del suo Paese negli ultimi anni, scommettere con tro questa previsione e’ sconsigliabile.

„Questa volta l’Unione Europea ha fatto come si deve fare“. Cosi’ si inserisce nella discussione Ana, dal suo studio installato nella mansarda di casa sua. Si riferisce a come l’Unione ha gestito  il processo di allargamento che si e’ chiuso nel 2004. „Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia e la mia Slovacchia hanno dovuto passare esami lunghi e rigorosi, cambiare gran parte della legislazione per adeguarla all’Acquis (e’ cosi’ che si chiama, vero? dimmelo tu che di questo ti occupi),  riformare l’amministrazione pubblica, liberalizzare, modernizzare. Sai meglio di me quanto questo e’ stato socialmente costoso e talvolta politicamente umiliante, ma sai meglio di me che il risultato finale e’ stato benefico per le nostre economie e per le nostre societa’, che oggi sono giovani e dinamiche, anche piu’ di quelle dell’Europa dell’Ovest. Non siamo entrati nell’Unione gratis et amore Dei come qualcun altro che ci e’ entrato prima o che addirittura e’ Stato fondatore, ed e’ per questo che noi oggi non siamo un problema per l’Europa, ma la prova che la costruzione europea puo’ avere successo. Se adesso chi e’ entrato gratis et amore Dei e’ nei guai     - l’espressione che usa e’ meglio che non la traduca alla lettera -  e’ perche’ non ha dovuto passare gli esami che abbiamo dovuto passare noi. La Slovacchia e’ entrata nell’Unione e poi addirittura in Eurozona a testa alta, senza beneficiare di sconti. Se alla fine dovremo aiutare altri  lo faremo per senso di solidarieta’, fra l’altro non abbiamo grandi banche da salvare“.  Discorso non molto diverso, in definitziva, da quello di Jacek.

Csába: „eravamo i primi della classe, guardavamo gli altri compagni nel viaggio verso l’adesione dall’alto in basso. Oggi non siamo piu’ i primi della classe. Per noi l’ingresso in Eurozona e’ un’ipotesi prematura. Nel mio Paese oggi il pessimismo ha soppiantato l’orgoglio per il rientro in Europa. Abbiamo una percentuale di senza lavoro a livelli mediterranei ed una percentuale di popolazione attiva fra le piu’ basse d’Europa. Il nostro debito pubblico in percentuale del PIL lo abbiamo ridotto negli ultimi anni, ma la tendenza a finanziare la crescita con il debito e’ un riflesso quasi automatico in molti, al governo come all’opposizione. In piu’ abbiamo una societa’ che si sente definitivamente benestante, e pensa che questa condizione sia acquisita una volta per tutte. Ai Paesi deboli di Eurozona direi una cosa che penso riguardo al mio Paese: il rischio di insolvenza si scongiura con una crescita economica sostenibile, e questa si realizza se la societa’ si sblocca. Sbloccare la societa’, questo e’ imperativo“.

 

Il debito pubblico nei Paesi dell’Unione Europea che aderiscono all’OCSE su http://alessandronapoli.eu/page.php?190 .

 

Il deficit./.surplus di bilancio nei Paesi dell’Unione Europea e nei Paesi candidati che aderiscono all’OCSE su http://alessandronapoli.eu/page.php?190

 

 


Partager cet article
Repost0
27 octobre 2011 4 27 /10 /octobre /2011 17:52

Matteo Tacconi, giornalista freelance. Laurea in Scienze Politiche a Perugia, specializzazione in giornalismo alla Luiss di Roma, si occupa di politica internazionale e segue prevalentemente l’Europa centro-orientale e i Balcani. Se gli capita fotografa pure. Finora due libri all’attivo – Kosovo e C’era una volta il Muro – editi entrambi da Castelvecchi, rispettivamente nel 2008 e nel 2009.

___

PIREO – S’è ripreso a lavorare, giù al porto. Comandanti, primi e secondi ufficiali, nostromi, carbonai e mozzi sono tornati alle loro postazioni. Sui moli è ricominciato il solito trambusto. Il traffico, in entrata e in uscita, è nuovamente intenso. Come sempre. I traghetti sciabordano, le loro ciminiere sputacchiano nuvoloni di gasolio. L’impasto tra carburanti e salsedine ha ridato all’aria la classica, sgradevole viscosità.
Fino a lunedì, però, la porzione del Pireo deputata al traffico passeggeri è stata la pallida copia di se stessa. Lo sciopero dei marittimi, durato la bellezza di otto giorni e indetto a causa – manco a dirlo – delle politiche draconiane imposte dal governo sotto dettatura bruxellese, ha inchiodato le imbarcazioni ai moli e imposto all’infrastruttura, terza al mondo e prima in Europa per volume di passeggeri, una lunga pausa.
A visitarlo di domenica, nell’ultimo giorno di agitazione, lo scalo ateniese sembrava un cimitero di traghetti. All’interno dell’area portuale, grande silenzio e qualche comparsa. C’erano quelli che il porto ce l’hanno nel sangue e non possono farne a meno: gli anziani che confabulano e i pescatori senza pretese, alcuni armati di canna e altri di togno (lo strumento intorno al quale chi pesca senza canna avvolge il filo di nylon). C’erano delle famiglie, uscite dalla funzione domenicale nella chiesa di Aghios Nikolaos (San Nicola), a passeggio sulle banchine. Ma c’era anche chi al porto ci si è dovuto inevitabilmente fermare, come Philippe e Max, due pompieri francesi, annoiati a morte. «Saremmo dovuti andare a Creta per un’esercitazione congiunta con i colleghi greci. Invece siamo qui, da giorni, impotenti. Mangiamo, beviamo, dormiamo. Alternative non ne abbiamo».
«A scioperare sono solo i marittimi. I portuali, gli ormeggiatori e gli altri che lavorano a terra, in questi giorni non hanno incrociato le braccia. Però è come se l’avessero fatto. Se i traghetti restano ancorati non hanno nulla da fare. Quindi sono rimasti a casa», ci ha spiegato un agente alla caserma della polizia marittima, prima di scagliarsi contro il governo Papandreou, l’Europa, la finanza volatile e tutto quanto il resto, in una filippica serratissima.
Lo sciopero ha tenuto fermi anche gli operatori delle biglietterie delle compagnie navali. «Noi delle biglietterie non siamo in agitazione. Ma molte compagnie, visto che è tutto bloccato, hanno preferito tenere a riposo i dipendenti, concedendo dei giorni di ferie e risparmiando un po’ di soldi, visto che lo sciopero ha causato loro importanti perdite», ha riferito un’impiegata della Blue Star, tirando fuori la testa dalla finestrella del suo gabbiotto, uno dei pochissimi aperti. Clienti zero, comunque.
Le compagnie di navigazione, in effetti, c’hanno rimesso parecchio. «Tutti questi giorni di sciopero hanno significato migliaia di rimborsi per i passeggeri e migliaia di euro in fumo». Così Sophia, dipendente di un’agenzia turistica situata nei pressi della stazione della metropolitana.
Niente passeggeri, niente turismo. Con i tempi che corrono, rinunciare alle entrate generate dal flusso di villeggianti, preziose come l’oro, fa male. Le isole, poi, come ha registrato il quotidiano Ekhatimerini, sono a corto di rifornimenti. Senza contare che non è la prima volta, da quando la crisi ha aggredito il paese, che il Pireo s’inceppa. Le statistiche dell’autorità portuale, relative al 2010, indicano che l’anno scorso, rispetto al 2009, c’è stato un calo, a livello di passeggeri, pari al 5,96%. Il prossimo bollettino dovrebbe essere ancora peggiore.
L’unica eccezione della otto giorni di sciopero è stata quella della navi da crociera. I bestioni della Msc, della Costa e della Louis hanno continuato a entrare e uscire dal porto, scortati delle navi pilota con i loro equipaggi, in via eccezionale al lavoro.
Scenario diverso, invece, quello nella parte occidentale del Pireo, situata nel sobborgo di Keratsini e destinata alle operazioni delle navi merci. Lì non s’è scioperato e gru, muletti e macchinari vari hanno scaricato e caricato container dai e sui cargo. Ma a Keratsini, un immenso complesso infrastrutturale, con due spiazzi giganteschi pieni di automobili giapponesi e coreane non immatricolate, pronte a entrare nel mercato europeo, tira ancora aria di tempesta. Il punto è che i portuali non hanno digerito l’arrivo di Cosco, colosso cinese dei trasporti marittimi, che s’è presa in affitto per 35 anni un intero settore dello scalo di Keratsini, tramite un contratto dal valore di cinque miliardi di euro e l’impegno a costruire un nuovo molo. L’accordo, stabilito nel 2006 dal governo conservatore di Kostas Karamanlis, ha portato il sindacato portuale a organizzare scioperi a catena contro la privatizzazione del Pireo e il “modello cinese” del lavoro (importante la diminuzione del traffico merci), fino a quando, nell’autunno del 2009, l’esecutivo Papandreou ha negoziato nuovi termini, con nuove garanzie. Eppure i lavoratori e le loro organizzazioni continuano a guardare con ostilità Cosco, che, stando a quanto ha riportato alla testata americana National Public Radio (Npr) in un’approfondita inchiesta dello scorso luglio, non ammette la presenza di sindacati tra i suoi dipendenti greci, pagherebbe salari dimezzati rispetto alla media greca e imporrebbe turni lunghissimi, senza per giunta riconoscere gli straordinari.
Il numero uno di Cosco, Wei Jiafu, ha più volte smentito queste storie, tenendo a precisare che non uno dei suoi dipendenti greci ha mai incrociato le braccia. La cosa non ha tuttavia rassicurato Nikolaos Georgiou, a capo del sindacato dei portuali, che ha spiegato, alla Npr, che il timore è che il modello cinese dell’impiego s’affermi anche tra le altre corazzate commerciali che operano a Keratsini. Mente i giornali dicono che Pechino sta usando il Pireo come l’hub da cui spedire, in tutt’Europa, le sue merci. «Paccottiglia a basso costo», le ha definite Gilda Lyghounis, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso da Atene.
Scioperi, stipendi decurtati e calo del traffico nel settore dei traghetti, grosse preoccupazioni in quello dei cargo. La crisi greca s’allunga, insidiosa, anche sulle banchine del Pireo. Gli unici che sul mare e sui porti non sembrano risentire delle turbolenze sono gli armatori, il cui fatturato, grazie a una pioggia fitta di commesse dall’estero, è in aumento, in controtendenza rispetto ai tempi che corrono. Può aiutare, questo, la Grecia a rialzarsi? Difficile. Gli armatori hanno gli uffici al Pireo, con la Grecia hanno poco a che fare. «Sono, in larghissima parte, operatori economici internazionali. Le loro navi sono iscritte ai registri navali di altri paesi, i loro equipaggi sono in prevalenza formati da stranieri. La marina mercantile greca – ragiona Alessandro Napoli, esperto di affari economici internazionali che ha vissuto e frequentato a lungo il paese ellenico – è una delle più grandi al mondo, ma in sostanza non è greca. Non batte bandiera greca e quindi, allo stato, in termini di tasse, con la Grecia c'entra poco o nulla».

___

http://radioeuropaunita.wordpress.com/

Partager cet article
Repost0
26 octobre 2011 3 26 /10 /octobre /2011 14:57

Un’universita’ non vale l’altra. In senso oggettivo – ma questo importa fino ad un certo punto -  ma soprattutto nella percezione soggettiva dei potenziali employer. La societa’ di consulenza Emerging (http://www.emerging.fr )  ha intervistato centinaia di chief executive e di chairmen di aziende belghe, brasiliane, britanniche, canadesi, francesi, italiane, olandesi, spagnole, tedesche e degli Stati Uniti, chiedendo di segnalare le Universita’ fra i cui graduate reclutano il personale. Per la compilazione della classifica ad ogni indicazione data da un intervistato sono stati assegnati un punto quando questa andava a favore di una Universita’ dello stesso paese dell’intervistato,  1,5 punti quando andava a favore di un’Universita’ dello stesso continente, di 2 quando andava a favore di un’Universita’ di altri Paesi del mondo. Piu’ che di un indicatore di qualita’ si tratta dunque di un indicatore di fiducia, ma e’ utile per capire dove convenga studiare per avere le maggiori possibilita’ di trovare lavoro a studi compiuti.

 

Nel drappello di testa ci sono Harvard, Stanford e Yale, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto. L’Universita' britannica meglio posizionata e’ Cambridge ( quarto posto), mentre si piazza all’ottavo Oxford. Fra le Universita’ dell’Europa Continentale la testa di serie e’ l’H.E.C. di Parigi (nono posto), ma fra le prime trenta in classifica le Universita’ francesi sono ben sei. Per trovare un’Universita’ che non sia ne’ statunitense, ne’ britannica, ne’ francese bisogna andare al 33o posto, dove si posiziona l’Universita’ Erasmus di Rotterdam, percepita dunque come la migliore dell’Europa Continentale a parte le „migliori“ francesi. La seconda fra le continentali (sempre francesi a parte) e’ l’italiana Bocconi (35o posto). Fra le prime sessanta non USA, non UK e non francesi ci sono anche un’altra Universita’ olandese, la Technische di Eindowen (43.o posto), due Universita’ svizzere e due spagnole. Per incontrare un’Universita’ tedesca bisogna invece scendere fino allla 64.a posizione, dove si colloca la Ludwig-Maximilians di Monaco, mentre la seconda fra le tedesche risulta l’Universita’ di Mannheim (86.a). La prima italiana dopo la Bocconi (e con questa unica italiana fra le prime 15o nel mondo) e’ la Scuola Normale Superiore di Pisa (84.a).

Fuori dal Nordamerica e dall’Europa, eccellente e’ il piazzamento dell’Universita’ di Tokyo (18.a) ed ottimo di quella di Fudan (Cina, 34.a).

La reputazione di cui gode l’Universita’ dove si e’ studiato e’ decisiva per l’ingresso nel lavoro e per la carriera. Non basta solo decidere che cosa studiare, ma dove studiare.

 

 

___

Uno speciale su questo tema su http://www.nytimes.com/2011/10/20/education/20iht-SReducEmploy20.html?pagewanted=2&_r=1&ref=internationaleducation 

 

Partager cet article
Repost0
24 octobre 2011 1 24 /10 /octobre /2011 12:18

Un’ora siamo stati a parlare su Skype ieri sera, un’ora. Il mio amico e collega tunisino ha molte cose da dire e molta voglia di parlare, come molti suoi connazionali. „Stavo pensando di non andare a votare“ – mi diceva – „mi avevano detto che sarebbe stato inutile, che la maggioranza di chi ne aveva diritto se ne starebbe stata a casa, che c’erano troppe liste e che questo era solo un modo per confondere le idee alla gente. Mi avevano detto che ci sarebbero stati disordini ... Ed invece ci sono andato. Per curiosita’ innanzi tutto: volevo vedere come puo’ funzionare la democrazia da noi. Sai, per anni a votare ci siamo andati, ma era un’altra cosa; questa volta volevo vedere che cosa significa votare come si vota in Francia. Ma siccome in giro i piu’ dicevano che ai seggi ci sarebbe andata una minoranza me la sono presa con comodo e sono andato alle nove. Una minoranza? Quando sono arrivato c’era una fila lunghissima, uomini e donne, moltissimi giovani, anzi giovanissimi. Ho pensato: ’beh, ma io voto nel centro della citta’, qui e’ speciale’. Qualcuno si lamentava per la fila, i piu’ erano eccitati ma disciplinati. Altro che infelicita’ araba, Samir Kassir si sarebbe ricreduto a guardare quello che ho visto io oggi.  Sai         - continua -       noi tunisini siamo un poco come voi italiani, alla disciplina siamo allergici, perdiamo la pazienza facilmente. Ed invece no, credimi: oggi, in fila, mi sono sentito come se fossi in mezzo ad una comitiva di turisti svizzeri, come quelli che vengono qui da noi sulla costa di Cartagine in estate“. Il mio amico e collega continua a parlare, ma la sostanza di quello che dice l’ho gia’ riferita. Tranne una frase: „non mi chiedere per chi ho votato. Il voto e’ segreto, siamo in democrazia ora“. Speriamo.

Partager cet article
Repost0
22 octobre 2011 6 22 /10 /octobre /2011 13:36

Quello che voleva (e che vuole) la gente che era scesa in strada alla fine dell’inverno e' vivere meglio, come quelli che stanno dall’altra parte del mare. Non una pulsione ideologica, ma semplicemente la comprensione che la strada verso il benessere passa attraverso la liberta’ d’espressione e la democrazia, e che questo non e’ possibile senza mandare via l’autocrate ed il sistema di potere che l’autocrate ha costruito attorno a se’. Andava in scena una replica, sotto cieli diversi, di quello che avevamo visto nel 1989 in Europa Centrale ed Orientale. In tutti e due i casi, piu’ democrazia significava abbattimento di oligarchie che non intendevano venisse messo in discussione il loro monopolio delle risorse. Ora e’ arrivato il momento di provare che l’approdo alla democrazia non e’ temporaneo e che domani ci sara’ un argine a garantire che non si riformino oligarchie.

Su questa fase, „post-primaverile“, del risveglio delle masse arabe, leggo poco di interessante sulla stampa americana e ancor meno su quella europea. Questa sembra finora interessata poco a capire, piuttosto invece ad esorcizzare fantasmi. C’e’ quello che mi sembra un errore di base, e cioe’ pensare che la partita che si apre ora sia solo un gioco fra islam radicale e secolarismo. Staremo a vedere, cominciando con il nuovo scenario che si apre con le elezioni di domani per l’Assemblea Costituente in Tunisia, il Paese avanguardia del risveglio arabo.

A me sembra che la partita sia, almeno in questo caso, fra quattro forze, e non fra due. Senza contare che i partiti in corsa sono un’ottantina (cosa che, sia detto per inciso, non mi pare in se’ patologica in una qualsivoglia nuova democrazia).

Ci sono innazitutto le forze dell’islam radicale, quello che l’occidente (ma non solo) teme di piu’. Non direi che abbiano giocato un ruolo importante nella rivoluzione, ne’ mi pare che i loro messaggi corrispondano all’attesa di benessere che era alla base degli eventi di primavera. Di qui a sottovalutarne l’importanza pero’ ce ne corre. L’islam radicale fa presa sul sottoproletariato giovanile urbano che oggettivamente ha meno chances di approfittare del cambiamento di quante ne abbiano altri strati sociali, anche giovanili (per esempio i giovani senza lavoro con elevato livello di istruzione). Non piace alla provincia conservatrice e tradizionalista. Non si tratta di fare prognostici, ma direi che nel complesso queste forze possono contare sul sostegno di una parte non trascurabile ma certamente minoritaria della popolazione. Azzardo una percentuale, anzi una forbice fra percentuali: direi fra il 10% ed il 15%.

La seconda forza e’ quella di un islam conservatore nei costumi e moderatamente liberista in economia. Mi pare la forza maggioritaria. Come sempre, dopo le rivoluzioni la gran parte della gente vuole incassarne il dividendo, ma non vuole correre avventure. Vuole benessere ma non vuole rottura con la tradizione.  Il modello turco, pur venendo da un Paese non arabo, e’ molto popolare, e il premier turco non fa mistero di voler appoggiare proprio queste forze, con questo esportando un modello socio-politico ed economico di successo e, a valle, capacita’ tecniche, capacita’ imprenditoriali e prodotti. Anche in questo caso mi sbilancio con una previsione: questo polo, una specie di versione araba della DC italiana degli anni Cinquanta, non andra’ sotto il 30% dei consensi, e potrebbe raccoglierne anche molti di piu’.

Dall’altra parte ci sono i secolaristi. Divisi su tante cose, ma tutti preoccupati che cose come la separazione fra la legge islamica e quella dello Stato, i diritti delle donne, un livello elevato di liberta’ nei costumi siano preservate. Qui ci sono anche i tecnocrati dello Stato costruito dal Destour sul modello dello stato francese. Ma anche i giovani che amano il rock occidentale, le elites delle professioni liberali, i medi imprenditori (ce ne sono non pochi), i dirigenti di aziende a capitale estero, una larga parte degli operai, degli studenti e di chi lavora o ha lavorato in Europa. Gruppi sociali che hanno avuto un ruolo molto importante nei giorni della rivoluzione.

I secolaristi sono divisi. Un primo polo e’ di orientamento tecnocratico o liberista e ad insediamento urbano. Potrebbe raccogliere una percentuale di voti significativa (attorno al 5%), e soprattutto decisiva in governi di coalizione.

L’altro e’ di tipo „socialdemocratico“, a favore di una modernizzazione in cui lo Stato abbia un ruolo importante nella redistribuzione delle risorse, per la ricostruzione di un welfare che era uno dei pilastri dello Stato post-coloniale, per la costruzione di opere pubbliche ed infrastrutture. In Paesi arabi ricchi, per esempio in quelli del Golfo, avrebbe basi concrete su cui poggiare il proprio progetto. In Tunisia il disegno e’ molto meno semplice da realizzare. Se dovessi ancora per una volta sbilanciarmi in previsioni, direi che raggiungerebbe un risultato attorno al 20%.

Naturalmente ci sono poi i gruppi portatori di interessi locali, un complesso di tutt’altro che trascurabile dimensione, ed anch’essi decisivi in governi di coalizione.

Staremo a vedere. Certo e’ che il paradigma „o oligarchia o radicalismo islamico“ credo non funzioni piu’, la societa’ e’ ora piu’ complessa e soprattutto piu’ attenta e molto meno rassegnata. Gli europei ed i Governi europei, in genere, non se ne sono accorti.

Partager cet article
Repost0
19 octobre 2011 3 19 /10 /octobre /2011 15:31

Siamo all’indian summer, dopo qualche giorno davvero freddo, con notti tanto fredde che persino gatti e topi si addormentavano abbracciati. Passera’ anche questa, e poi l’inverno battera’ l’autunno. Spedizione fuori dalle mura di casa per fare incetta di tronchetti di legna: non si sa mai, magari gli ucraini chiudono di nuovo il gasdotto Russia-Europa ed io mi ritrovero’ a consolarmi con le stufette elettriche. Conserve per l’inverno fatte in casa belle e sistemate: pomodori, peperoni, cavoli acidi. Ampia provvista di legumi secchi, con nuove idee su come prepararli. Gatta sempre meno in giro per cortili e sempre piu’ fissa a dormire sulla sua poltrona davanti al televisore, almeno fino all’ora di una sigla di telegiornale che la spaventa come la sigla dei telefilm di Hitchcock spaventava me quando ero bambino. Cani stranamente silenziosi. Rane e rospi spariti dalla circolazione. Per non parlare delle lucertole. Minaccioso odore di pancetta affumicata e di spezzatino in arrivo dalla casa del vicino. L’edera resiste, ma non so fino a quando potra’ resistere. Tanto peggio per la faina, che la usa come Tarzan usava le liane. „A estate calda, inverno freddo“ – dicevano i miei nonni e le mie nonne. Quest’estate e’ stata davvero calda.

 

 

___

 

 

Temperature medie di gennaio e di luglio nelle capitali europee. Su: http://alessandronapoli.eu/page.php?193

Partager cet article
Repost0
18 octobre 2011 2 18 /10 /octobre /2011 16:34

Se avete un momento di tempo libero guardate la tabella che e’ su http://alessandronapoli.eu/page.php?186 . Non e’ altro che un modo per rappresentare il progressivo impoverimento dell’Italia ed il suo allontanamento dalla serie A dell’Europa, cosa che qualunque cittadino alle prese con un reddito reale sempre piu’ basso sa perfettamente, anche senza guardare o saper leggere le statistiche. Fino agli anni Novanta il nostro prodotto interno lordo per abitante era superiore a quello del Regno Unito e prossimo a quelli di Francia e Germania; adesso e’ piu’ basso di quello della Spagna e di poco superiore a quello di Cipro (pero’ con un’Italia Meridionale molto al di sotto di quel livello). L’Italia sta scivolando da una condizione di Paese ricco verso quella di Paese „intermedio“, mentre il governo in carica oscilla fra il minimizzare questo innegabile dato di fatto e l’attribuire i nostri mali a chissa’ quali cospirazioni internazionali, senza fare nulla di quel che un governo dovrebbe fare: lavorare per la crescita di occupazione e reddito. Nel frattempo, c’e’ chi, a sinistra, si diverte con le idee sulle virtu’ della decrescita. Delle due l’una: o ha letto Latouche solo in vulgata, oppure ha deciso di reagire, come il governo, allo stesso modo della volpe davanti al grappolo d’uva. Tutto questo accade in un Paese di impoveriti, per ora in prevalenza  mansueti e rassegnati. Mansueti e rassegnati finche' i risparmi messi da parte nei decenni precedenti permetteranno di continuare a mangiare. Di rendita non si puo' vivere, e neppure troppo a lungo sopravvivere.

Partager cet article
Repost0
15 octobre 2011 6 15 /10 /octobre /2011 11:46

Alle elementari la gran parte dei miei compagni di classe si chiamava Giuseppe, Giovanni, Maria, Anna. C’era qualche Francesco (con la variante Franco). Siccome ero in una citta’ dell’Italia Meridionale, non mancavano poi  i Pasquale, Vincenzo, Gaetano, Assunta (anzi Assuntina), Concetta. Persino Cataldo. I nati nell’ultima parte del decennio scorso (e quelli che nascono ora) si chiamano invece Alessandro, Andrea, Giulia, Sara, e persino Gaia e Giada. Anche in italia Meridionale. Nomi un tempo tipici dei figli delle classi alte: si vede che adesso, in tempi di mobilita’ sociale bloccata, i genitori si illudono che chiamare i figli con un nome che non suoni plebeo sia una specie di passaporto per assicurar loro successo e risalita sulla scala sociale.

Sembra invece che si sia esaurita la tendenza a dare ai propri figli i nomi dei protagonisti delle telenovelas sudamericane o delle soap statunitensi. E ci credo: se ne vedono sempre meno. Pero’ una nuova ondata di bambini con nomi da protagonisti di sceneggiati televisivi c’e’ da aspettarsela. Declinata la popolarita’ delle telenovelas e delle soap, e con le „serie“ turche (molto meglio fatte) che prima o poi arriveranno anche in Italia, aspettiamoci che nei registri anagrafici compariranno bambine chiamate Deniz, Fikret, Sedef (e magari Sheherazade) e bambini chiamati Onur, Tolga, Shevket. Ahmet e Mehmet no, non credo.

E voi, come avete chiamato i vostri figli?

___

I nomi piu’ frequenti fra gli italiani e le italiane nati nel 2009 su:  http://www.alessandronapoli.eu/page.php?53.1 

Partager cet article
Repost0
13 octobre 2011 4 13 /10 /octobre /2011 16:31

Una gran parte degli abitanti di questo pianeta non mangia a sufficienza, perche' non puo' permetterselo. Una gran parte degli abitanti di questo piantea mangia poco e male, perche' non puo' permettersi di mangiare bene. Un'ultima parte mangia troppo e male, perche' e' cretina. Una delle rivoluzioni che dovremmo fare e' quella per imparare a mangiar bene. Cominciamo con l'insegnare agli americani a mangiare, magari mettendoci d’accordo su come farlo con i giapponesi, su questo ancora piu’ bravi di noi. In Italia dieci adulti su cento sono obesi, negli Stati Uniti la bella cifra di 34, sempre su 100. Imparare o re-imparare a mangiar bene (ed a cucinar bene) e’ la sfida del ventunesimo secolo, piu’ urgente ancora di tutte le altre. Per vivere meglio e piu’ a lungo. Difficile che gli americani lo capiscano, pero’ essere a priori pessimisti non serve.

Mi offro come insegnante volontario, anzi come missionario in partibus infidelium, cioe’  in terre d’America o di Inghilterra. Basta che non mi paghino in natura; il cibo cui sono abituati e le materie prime che  usano li scegliero’ quando e se dovessi scegliere per l’eutanassia. Che poi in questo caso piu’ che euthanassia sarebbe kakothanassia. Morte infelice, altro che morte felice.

 

 

___

Dati sulla percentuale di obesi sul totale della popolazione adulta nei Paesi sviluppati su http://alessandronapoli.eu/page.php?187

Partager cet article
Repost0
13 octobre 2011 4 13 /10 /octobre /2011 11:20

République Française – Ministère de l’Education Nationale“. C’est ce qui est écrit sur la première ligne de deux diplômes universitaires affichés sur l’un des murs de mon bureau. Je les regarde tous les jours et je pense à ce qu’aurait été ma vie si je n’avais pas vécu trois ans dans l’Hexagone. Jeune étudiant étranger, aussi bien que mes collègues grecques, libanais, algériens, tunisiens, espagnols, polonais, portugais, irlandais, israéliens et même japonais. Trois ans passés entre la cantine et la bibliothèque de la fac et ensuite de l’Institut. Trois ans difficiles, mais aussi trois ans inoubliables. Trois ans passés dans un Pays qui a toujours ouvert ses bras et son cœur au monde entier: la France républicaine, où personne n’a même pas le temps de se sentir étranger, bien que, n’importe où et en France aussi, l’on est toujours « l’étranger de quelqu’un ». Un Pays qui a su vite se réconcilier avec son grand voisin et largement contribué à la construction européenne, le plus grand cadeau que ma génération aie reçu de ses pères et de ses mères. Un cadeau que l’on a l’honneur et la responsabilité de transmettre à nos enfants. Pour qu’ils n’oublient jamais le passé, pour qu’ils puissent se mesurer avec les défis du présent, pour qu’ils puissent travailler positivement pour l’avenir.

 

___

Les chiffres clés sur  http://www.alessandronapoli.eu/page.php?56.1

Partager cet article
Repost0

Latitudini &Amp; Longitudini

  • : Latitudini e Longitudini. Un blog di alessandro alex napoli
  • : "Latitudini & Longitudini", ovvero il mondo al di fuori dell'asse Londra-New York. L'Europa Centrale, i Balcani, il Mediterraneo, l'America Latina, con notizie e racconti.
  • Contact

Ultimi Articoli