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3 octobre 2012 3 03 /10 /octobre /2012 13:06

MANGIARE IN GRECIA, OVVERO DEGLI STRANIERI CHE NON SANNO CHE COSA MANGIARE


I luoghi comuni sulla Grecia sono talmente tanti che se ne potrebbe ricavare un tomo di cinquecento pagine. Uno, dominante, e’ quello di considerare il Paese come un abbronzaschiena, un luogo dove si va solo per andare a tuffarsi nel mare e a cospargersi di creme protettive anti raggi solari. Ammesse solo occasionali escursioni verso l’isola vicina o a qualche area archeologica. Il resto non interessa. Alla sera, e questo vale soprattutto per i giovani del Nord Europa, pub e discoteche, con musica uguale a quella che potrebbero sentire a casa e immancabili birre e superalcolici. In Grecia tale e quale come, chesso’, a Ibiza. E chissenefrega di quello che accade intorno.

Altro luogo comune riguarda la musica. Sono convinto che milioni di stranieri pensano che la Grecia sia solo il Paese del bouzouki e che, per di piu’, al suono del bouzouki, quale che sia il tempo, si balli il syrtaki. Una danza inventata insieme alle composizioni di  Theodorakis negli anni Sessanta, ma che quasi tutti gli stranieri considerano addirittura tradizionale. Mai visti stranieri capaci di distinguere fra un hassapiko e uno zeimbekiko, fra un aptaliko e un tsifteteli. Pazienza, per gran parte di loro la musica e’ solo il sottofondo di una cena in una taverna. Figuriamoci se sono capaci di distinguere fra la musica popolare urbana (Λαϊκά Τραγούδια), dove appunto il bouzouki e il suo cugino piu’ piccolo, il baghlamas, sono i protagonisti e la musica dei villaggi (δημοτικη μουσικη), la musica tradizionale dove il protagonista e’ il clarino e le danze sono completamente diverse. Per non parlare della musica delle isole (Νησιωτικά)

Terzo luogo comune: la cucina. La gran parte degli stranieri, mi pare, e’ innazi tutto convinta che la Grecia, avendo uno sviluppo costiero notevole e molte isole, sia un Paese dove si mangia molto pesce. Niente di piu’ errato. I mari greci sono poco pescosi e il carattere greco e’ incline piu’ a mangiare carne e vegetali che non pesce. Trovare buon pesce non e’ impossibile, ma non ovvio e soprattutto tutt’altro che economico. Molti stranieri sono inoltre convinti che l’insalata di pomodori, foglie verdi, olive e feta  (Χωριάτικη σαλάτα) e i souvlaki siano la sintesi del mangiare greco. Peccato, ma la colpa e’ anche dei ristoratori che non sanno guidarli a scoprire la cucina del Paese e degli stessi stranieri che in genere sono riluttanti ad accettare l’invito dei padroni delle taverne a visitare direttamente la loro cucina e a scegliere fra quello che e’ stato preparato e quello che si puo’ preparare. In generale mi sembra che gli stranieri ignorano il ruolo cruciale che nella cucina greca hanno le preparazioni „ladhera’ „, e cioe’ i cibi cotti in olio di oliva: fagioli giganti, peperoni ripieni di riso e carne tritata, involtini di foglia di vite ripieni di riso e carne tritata, polpette di Smirne (cotte con la salsa di pomodoro), fagiolini al sugo, bamies (i cosiddetti corni greci). E soprattutto, con l’eccezione della moussaka’, ignorano che il grande protagonista e’ la melanzana. In moltissimi non hanno mai mangiato le melanzane ripiene, ne’ le melanzane „dell’imam“ e nel migliore dei casi si sono imbattutti nella regina degli antipastini: la melitzanosalata. Nel box che segue e’ la mia ricetta per prepararla.

Un giorno parlero’ anche della cucina „politika“, cioe’ la cucina della citta’ (Costantinopoli). Saremo all’aristocrazia culinaria greco-turca

 

___

 

LA „MIA“ MELITZANOSALATA


La mia ricetta. Per prima cosa arrostisco le melazane intere sul rostilj (caminetto per il barbecue) che abbiamo in giardino fino a farle diventare davvero soffici. Mi ci vogliono dai dieci ai quindici minuti. Le ritiro e le metto a liberarsi dell’acqua residua su un canovaccio. Nel frattempo si raffreddano. Quando sono fredde ne rimuovo la pelle e verso la polpa in una terrina. Sminuzzo con il coltello (mia moglie invece usa l’omogeneizzatore, dopo che le ho proibito di usare il multipratik - roba da aerofagia) fino ad arrivare a creare un composto omogeneo, e rimestando aggiungendo extravergine (gradualmente, ma in crescendo), aglio sminuzzato (uno spicchio per ogni melanzana), qualche foglia di menta, sale, pepe e polvere di peperoni rossi dolci essiccati (quest’ultima cosa non e’ ortodossa ma serve per limitare la tristezza del verde, insomma per dare una sfumatura di rosso a una cosa che per il colore verde pallido potrebbe sembrare non invitante). Aggiungo ma in quantita’ molto limitate l’aceto di vino rosso (mi regolo annusando, come farebbe la mia gatttuccia), e rimescolo ancora. Poi metto in frigo. Mangio la mia bella insalata di melanzane fredda, spalmandola su pane vecchio tostato 

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1 octobre 2012 1 01 /10 /octobre /2012 11:39

Un pensiero dedicato ai nostri figli che intendono andare a fare esperienze di studio o di lavoro all'estero. Evitate i Paesi troppo poveri: potreste avere uno shock perche' con la poverta' vera, quella che e' in certi Paesi del Terzo Mondo per intenderci, e' difficile convivere, a meno che non si abbia un cuore di pietra o occhi e mente foderati di prosciutto. Evitate anche i Paesi troppo ricchi: vi sentirete emarginati e drammaticamente soli. Non "cittadini" ma solo "spettatori" di un benessere che non vi apparterra'. “Vittime” di regole che difficilmente sentirete vostre e che dovrete rispettare anche se non ne capirete il senso. “Vittime” di societa’ che conoscono bene il bianco e il nero ma che rifiutano le tante sfumature intermedie che sono la realta’ della vita e che danno un senso alla vita. Andare all’estero, non da turisti, non e’ un gioco semplice. Scegliete dunque qual e’ il gioco che potrete sostenere meglio e che puo’ darvi piu’ possibilita’ di non uscire perdenti. E, se lo vorrete, scrivetemi.

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25 septembre 2012 2 25 /09 /septembre /2012 12:58

 

8 Settembre 2012, a Rafina, cittadina dell’Attica orientale, Grecia, Unione Europea. C’e’ la festa del paese e per le strade passeggiano giovani e meno giovani coppie, con o senza bambini.  In giro ci sono anche gli squadristi di Χρυση Αυγη, Alba Dorata, il partito neonazista. Si avvicinano ai banchetti dei giovani commercianti ambulanti extracomunitari, chiedono di verificare che abbiano il permesso di vendere, neanche avessero il diritto di farlo (non sono mica poliziotti). In pochi minuti scatenano violenza, pure contro quelli che il regolare permesso lo hanno. Distruggono i banchetti e la mercanzia. Guardate il filmato, io non aggiungo commenti. E’ tutt’altro che la prima volta che accade qualcosa del genere. Oramai nel centro di Atene, nelle strade commerciali pedonalizzate prima delle Olimpiadi, la violenza e’ diventata un fatto quotidiano, pure in pieno giorno. Gli squadristi arrivano, il loro target sono ancora gli ambulanti extracomunitari. Anche questo secondo filmato e’ eloquente: la violenza e’ davanti a tutti, di giorno, in centro. Una coppia e’ a rischio solo per il fatto di avere un colore non bianco: trova rifugio nel deposito di un negozio. In questo terzo filmato si va ancora oltre: siamo alla caccia all’uomo. „Mafiosi, sfruttatori del lavoro minorile“ gridano i neonazisti all’indirizzo di giovani africani, e comincia la corsa. Le immagini girate con un telefonino si fanno confuse. „Raccogliete tutto, andate via, via!“ si sente. Sono le voci degli inseguitori.

Nella Grecia indebitata e impoverita la convivenza fra greci e stranieri (soprattutto neri , afghani e pakistani) e’ diventata impossibile. I greci si ritirano da alcune zone della citta’, gli altri ne prendono possesso. Nelle zone intermedie gli anziani hanno paura. „Non possiamo uscire piu’ di sera“, „vediamo cose che non vorremmo vedere“ dicono signore della piccola borghesia intervistate in un altro filmato, girato ad Atene nella zona di San Panteleimon. E tanti ringraziamenti e promesse di voto per Alba Dorata.

Sono gli effetti di un Paese che non ha neppure tentato di avere una strategia di integrazione, che comunque avrebbe faticato a implementare perche’ non ha le strutture per il dialogo, neppure fra greci, tanto meno fra greci e stranieri.

Il problema della criminalita’ straniera e’ innegabile. Nelle zone attorno a Omonia, centro di Atene, per tutto il giorno avanza lo spaccio di eroina. La sera, sotto i portici e lungo i marciapiedi della via Socratous il territorio e’ nelle mani delle prostitute nigeriane e dei loro sfruttatori. E di quella criminalita’ indotta che l’illegalita’ genera. Alba Dorata non e’ il rimedio, come non lo sono gli strumenti del farsi giustizia da se’. Singolare: AD attacca gli ambulanti ma i suoi „servizi d’ordine“ non vanno dove il crimine e’ davvero violento.

A me restano alcune domande. Per esempio: chi compra le merci contraffatte? Gli ambulanti non sarebbero qui se non ci fossero clienti. Chi contratta e compra sesso sotto i portici e lungo i marciapiedi di Socratous e altrove? Le nigeriane non sarebbero qui se non ci fossero clienti. E che dire delle signore benpensanti e inviperite dei quartieri della classe media?  Quelle che sono disgustate dal fatto che ci sono stranieri che vivono in dieci in una stanza. Sicuro che non sono poi le stesse che affittano cantine a 600 euro al mese, persino vicino a Fokionos Negri, la via Veneto di Atene?

Intanto Alba Dorata si improvvisa organizzazione caritativa. Mense con pasti gratis per la strada, per chi non puo’ tirare avanti. Pasti gratis, ma dietro presentazione del passaporto o della carta d’identita’, che siano greci. Ogni pasto gratis, un voto potenziale. Un voto a un tanto al chilo.

 


IMMIGRATI STRANIERI BEI PAESI UE


 

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24 septembre 2012 1 24 /09 /septembre /2012 12:59

Nel settore dell’acciaio la concorrenza  e’ a scala internazionale: c’e’ spazio per pochi competitori (due-tre solo per restare in Europa). Abbiamo perso l’occasione di avere un competitore sul mercato internazionale basato in Italia. La abbiamo persa perche’ abbiamo privatizzato il siderurgico di Taranto come si privatizzerebbe una fabbrica di cioccolatini o di conserve di pomodori, consegnandolo a una famiglia. Una famiglia non peggiore ne’ migliore di altre, ma comunque una famiglia. Come tale   - lo dimostrano le vicende degli ultimi mesi -   senza i mezzi neppure per risanare gli impianti, figuriamoci per sostenere quegli investimenti da cui dipende la tenuta della competitivita’ dell’acciaio italiano su scala mondiale. Abbiamo privatizzato cedendo a un privato e non al mercato un asset non meno importante di quelli dell’industria petrolifera o di quella energetica. Abbiamo privatizzato l’acciaio  non seguendo il modello rivelatosi di successo adottato per ENI e ENEL, con il Tesoro detentore di diritti specifici in fatto di decisioni strategiche e investimenti che poi hanno prodotto risultati significativi e attratto investitori.

Se oggi crediamo nell’acciaio prodotto in Italia come negli anni Cinquanta ci credette il buon Oscar  Sinigaglia, se crediamo che sul mercato internazionale dell’acciaio un’azienda italiana puo’ essere fra i grandi player mondiali, un player che non solo non chiude il proprio impianto nel Paese ma che e’ capace di acquisirne altri all’estero, forse e’ il caso che pensiamo a una rinazionalizzazione della siderurgia a ciclo integrale. Un’operazione da fare bene, con un piano di investimenti orientato a obiettivi specifici di riduzione dell’incidenza del consumo di energia nei processi di produzione e degli effetti inquinanti, con ricadute sui prezzi . Due obiettivi specifici che in realta’ sono un obiettivo solo: produrre in modo piu’ efficace e efficiente. Conseguirli e’ la condizione per attirare quei capitali sui mercati internazionali indispensabili per altri investimenti che permettano di  giocare all’attacco e non in una insostenibile difesa nel mercato dell’acciaio.

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21 septembre 2012 5 21 /09 /septembre /2012 10:02
La corrida (quella cruenta, alla spagnola, non quella lusitana) si pratica ed e' popolare in quattro regioni del Sud della Francia (Aquitania, Mezzogiorno-Pirenei, Linguadoca-Rossiglione, Provenza-Alpi-Costa Azzurra). Sollevata una questione di incostituzionalita' davanti al Consiglio Costituzionale riguardante la legge che la permette. E la Francia del Sud si spacca in due: da una parte i cultori della tauromachia, che nell'area comincio' a prendere piede nel diciannovesimo secolo nelle arene che due millenni fa avevano costruito i romani, dall'altra gli animalisti (e non solo). Nel mezzo il Consiglio Costituzionale, che la questione deve affrontarla sotto il profilo tecnico (la compatibilita' della legge con la Costituzione), senza passioni.
Una nota: permessa nelle regioni del Sud, la tauromachia e' invece assolutamente proibita nel resto del Paese.
Resisto da decenni al cedere alle suggestioni del mito della corrida (Morte nel pomeriggio), ma rivelo di essere andato due volte in un'arena a guardarla, una a Valladolid, Spagna, l'altra a Arles, Francia. Ci ero andato con l'idea di capire se veramente di metafora della vita e della morte  e se di duello ad armi pari  o invece di uno scontro con esito scontato si trattasse. Non ci ho capito ancora molto, ma a me il sangue sparso inutilmente non piace, che sia di uomini o di animali. La contabilita' dei decessi e' poi tutta a sfavore dei tori.
Tutto il resto, i rituali e le regole, mi sta anche bene. Bella la tourada portoghese allora, piu' una danza fra uomini e animali che una tauromachia. 
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19 septembre 2012 3 19 /09 /septembre /2012 18:19

Quindici giorni fa ero a Salonicco per un colloquio di lavoro. Sto in un modesto ma conveniente albergo, fuori mano. Torno dal colloquio in anticvipo e mi siedo all’ombra, sotto il portico, fra le bouganvillee e le api con in programma la lettura di un giornale. Il padrone sembra mi abbia fiutato. Infatti, dopo neanche trenta secondi, la porta del suo stanzotto pieno di computer di ogni generazione e sulla quale sta un cartellino con la burocratica scritta „direzione“ si apre e ne viene fuori lui che si dirige dritto dritto vicino a me. „Piacere, sono Jannis“  - mi fa in inglese stringendomi la mano  - „benvenuto“. Al mio ricambio di convenevoli, in greco, Jannis si scioglie ancora di piu’. „E’ caldo oggi, vero?“   – e’ cosi’ che mi abborda.  „Pero’ prima o poi fara’ fresco e poi ci sara’ l’inverno. Siamo arrivati ad avere paura dell’inverno, perche’ il gasolio per riscaldamento e’ arrivato a un euro e cinquanta. Pero’ io non mi preoccupo tanto quanto i miei colleghi: ho fatto bene a seguire i consigli di mia moglie. ’Appena finisce l’inverno riempi il serbatoio’ mi diceva un giorno si’ e un altro no, anche quando l’inverno era finito. Mi riempiva la testa con questo consiglio. Aklla fine, eravamo a Aprile, cedetti e feci riempire il serbatoio. Mi costo’ un euro e pochi spiccioli al litro. Mi sembro’ una precauzione eccessiva, ma ora devo riconoscere che le donne, di cui mia moglie e’ un esemplare altamente rappresentativo, hanno un sesto senso che noi non abbiamo. Fiutano il pericolo come gli animali e prendono precauzioni in tempo. E cosi’, grazie all’istinto di mia moglie, ora ho il serbatoio pieno di gasolio pagato a un euro al litro mentre gli altri lo hanno vuoto e se non si decidono a riempirlo subito altro che a un euro e cinquanta al litro lo riempiranno“. Fa un cenno al portiere, che poi e’ un uomo tuttofare che dopo una diecina di minuti arriva al nostro tavolo con una caraffina di ouzo, due bicchierini per berlo, due canonici bicchieroni di acqua fredda per allungarlo, due piattini di meze’. „Con il pieno, se l’inverno non sara’ troppo rigido, posso arrivare fino alla primavera“ conclude e poi mi invita a brindare: „stin igia’ mas“, alla nostra salute.

C’e’ invece chi ha preso decisioni drastiche. A Salonicco e a Atene, forse gli unici luoghi in Grecia dove hanno installato una rete moderna di distribuzione del gas metano per riscaldamento, moltissimi sono passati al gas. Se infatti il costo medio annuo del riscaldamento a gasolio e’ di 3.500 euro, quello del riscaldamento a gas e’ di 2.500. In provincia ad avanzare e’ soprattutto il riscaldamento a legna o a pellets (1.200 euro). Davanti ai rivenditori c’e’ gia’ la fila e il rischio e’ che ci siano tensioni tali da determinare un forte incremento delle importazioni di legna da riscaldamento con ricadute ovvie sul prezzo di questo combustibile. Nella Grecia profonda, rurale, la domanda di legna per riscaldamento e’ cresciuta del 100% nell’ultimo biennio.

Aristidis, proprietario di alcuni negozi di abbigliamento nel centro di Salonicco e di una grande casa affacciata sul golfo termaico, ha seguito un’altra strada. „A me questa storia del riempirci di caminetti e stufe a legna non mi convince. Ma t’immagini le stufe  a legna o a pellets nei miei negozi, mica vendo alimentari  io, io vendo moda e ben vivere!“. Mi guardo attorno mentre sono in una delle sue jeanserie, di segnali di moda e ben vivere ne vedo pochi. Comunque sia, sono contento che almeno lui ne veda.  „Quindici-vent’anni fa   - prosegue -,  quando si diffuse l’abitudine a installare condizionatori d’aria per combattere il caldo dell’estate, ne comprai sia per i negozi sia per casa. Anzi in un negozio, quello piu’ grande, ho fatto installare un impianto di condizionamento, non gli split. Quest’inverno niente radiatori ne’ stufe, ma uno shift dal fresco al caldo sui telecomandi dei condizionatori e usero’ i condizionatori per il riscaldamento. Ho fatto quattro conti e per riscaldare la villa mi basteranno 1.300 euro. E se riscaldare gli ambienti di casa con i condizionatori conviene, penso che converra’ pure per riscaldare i negozi. Lo so, prima o poi aumentera’ anche il prezzo della corrente elettrica, ma riscaldarsi con l’energia elettrica costera’ comunque di meno che farlo con il gasolio. Nessun problema con i condomini dove sono i miei negozi. Le centrali termiche condominiali  a gasolio hanno deciso di spegnerle tutti. Da ora in poi ognuno si regolera’ come meglio crede“.

 

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15 septembre 2012 6 15 /09 /septembre /2012 12:19

La mia vera passione e' la cucina basata sull'esagono mediterraneo cereali-extravergine-ortaggi originari-legumi secchi-pesce-piante aromatiche, con in piu' il pomodoro tardivo intruso e benvenuto ospite. E mai senza cipolle. Fra le cose fuori dall’esagono la carne la accetto ma con estrema moderazione, e preferibilmente tritata, cosi' sa meno di carne mentre cipolla, aglio e aromi vi penetrano agevolmente generando sapori nuovi, diversi da quelli degli ingredienti originari. Per ritrovare, in un piatto, gli odori che noi nati attorno a questo lago che chiamano mare inaliamo fin da bambini: quello della salsedine e dello iodio, quelli delle piante di garriga, quelli della terra secca sotto il sole, quelli degli orti e delle serre impiantati nelle pianure costiere, quelli dei pini e quelli degli olivi. Mi interessa poco il rispetto dei dogmi dettati da certe ricette nazionali, regionali o locali, mentre mi attrae tutto cio’ che nasce dalla contaminazione e poi dall’amalgama fra i diversi punti (che poi sono ingredienti o famiglie di ingredienti) dell’esagono. Se penso a qualcosa che rappresenti in pieno le relazioni multiple che in un singolo piatto si stabiliscono fra i diversi punti dell’esagono, penso al cuscus. Piu’ invasive le diverse varieta’ di paella e meno “esagonale” il riso-patate-cozze pugliese, ma tutti derivanti dalla capacita’ di  mettere insieme cose che altri non metterebbero insieme. Reciproca tolleranza fra ingredienti che alla fine valorizza ciascuno di loro.

Il mangiare mediterraneo e’ mangiare da poveri, ma solo il mangiare da poveri, anzi, mi correggo, il mangiare che nasce dalla combinazione di ingredienti poveri e’ un gran mangiare: e’ il risultato di una trasformazione che costa fatica e richiede quell’intelligenza creativa che e’ dote che sviluppa solo chi e’ nato in posti dove la natura e’ stata generosa in termini di colori e odori, ma piuttosto avara di altri materiali. Prendete il gazpacho andaluso oppure l’acquasale che i braccianti si preparavano nei campi: dal poco o dal quasiniente si sviluppano sapori e odori unici.

Incontro e amalgama, e il bello e il buono dell’amalgama. Vorrei che che ritornasse ad essere cosi’ anche in campi diversi da quelli del mangiare. Per secoli noi mediterranei ci siamo “mischiati” l’uno con l’altro, al solo sentire parlare di purezza genetica quando guardo i volti di tutti i mediterranei mi viene da ridere. Ma quando mai, ma dove? E piu’ ci siamo “mischiati” piu’ siamo stati al centro del mondo, mentre quando ciascuna etnia ha eretto barriere attorno a se’ siamo precipitati ai margini. E’ una fortuna che stiamo riprendendo a “mischiarci”, anche se dopo un secolo di progressiva disabitudine al mischiarci (il secolo dei nazionalismi) stiamo ora passando attraverso la difficile fase transitoria dell’incomprensione e della reciproca intolleranza. Passera’, non foss’altro che perche’ e’ la stessa natura che non accetta l’impoverimento genetico che deriva dall’isolamento e dall’endogamia e incoraggia invece il métissage. E il métissage determina fusione fra culture e stili di vita, qualcosa di ben piu’ prezioso in termini sociali ed economici della semplice reciproca tolleranza e del dialogo. Le nuove generazioni saranno molto meno fatte da spagnoli, arabi, maltesi, greci, slavi del sud, italiani, albanesi, turchi, levantini e invece molto piu’, come secoli fa, mediterranee.

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13 septembre 2012 4 13 /09 /septembre /2012 11:04

Qui racconto del mio rapporto con l’ajvar, una delle cose che mi danno grandi soddisfazioni.  I miei amici mi chiedono costantemente perche’ io scriva di queste cose e non di quelle che fanno parte del mio patrimonio professionale. Replica: se vuoi capire la gente, e quindi la cultura e quindi la societa’ e quindi l’economia di un Paese piccole storie come quella che segue sono utilissime.

Se ne avrete la pazienza, nelle righe che seguono scoprirete che cosa succede a casa mia (o, a turno, a casa di vicini) quando e’ tempo (meta’ Ottobre) di preparare un’insalata per l’inverno come appunto l’ajvar. Con il coinvolgimento di tutti, bambini e adulti. In un raggio di cento metri siamo in tanti, tutti diversi: serbi, montenegrini, ungheresi, rom, una famigliola di slovacchi, un italiano (io). Cristiani ortodossi, cattolici, protestanti, musulmani, agnostici e atei. Tutti uniti in nome di una solidarieta’ di vicinato ma anche in nome dell’ajvar, portabandiera della qualita’ del cibo nei Balcani Occidentali. Ajvar e’ parola che assomiglia a kavjar. Insomma, denota il prodotto di uno sforzo collettivo che merita di entrare  nel cerchio piu’ elevato del cibo europeo, anzi paneuropeo.

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Al pari della melitzanosalata in Grecia, l'ajvar in Serbia e' considerata un'insalata e si usa come contorno o come antipasto. E' una delle insalate per l'inverno (zimske salate), quando non e' stagione di prodotti freschi. Ecco come la preparo, anzi la prepariamo, perche' la preparazione dell'ajvar e' un atto collettivo e non individuale. Il primo passo consiste nell'andare a comprare i peperoni. Ci vogliono quelli piccoli rossi e dolci a forma di corno, che vengono bene soprattutto nella Serbia centro-meridionale. E quindi per comprarli (in quantita' industriale :-)) ci mettiamo in viaggio, io, i vicini con cui prepareremo l'ajvar e il carrellino attaccato dietro la macchina che servira' per trasportarli. Arriviamo nella zona di Leskovac e scegliamo i peperoni, comprandone un po' da un contadino un po' da altri. Una volta tornati a casa passiamo al secondo passo, che consiste nell'arrostire i peperoni in un forno a legna con un camino alto, all'aperto. Quello che quasi tutti i serbi hanno in giardino o, se non posseggono un giardino, in cortile. Quel forno si chiama roštilj. Arrostiamo i peperoni. Insieme ai peperoni arrostiamo una quantita' molto minore di melanzane. Peperoni e melanzane li arrostiamo interi. Poi li mettiamo in tegami e pirofile che chiudiamo con piatti e coperchi. I peperoni e le melanzane li teniamo li' per una buona mezz'ora, per far loro perdere acqua e ovviamente per farli raffreddare. Poi comincia il rito della spellatura dei peperoni e dell'eliminazione dei semi una volta aperti. E' una cosa che diverte moltissimo i bambini. Dopodiche' appare un grande mulinetto di proprieta' di un vicino, dove a turno riduciamo a pasta unica peperoni con le melanzane, per poi versare il tutto in diversi tegamoni che mettiamo su una grande cucina a legna, sempre in giardino. A fuoco abbastanza lento, per diciamo un paio d'ore, con extravergine - questa e' un'innovazione che ho imposto io; qui si usa solo olio di semi di girasole, dato che di olivi non ce ne sono e che gli olii di oliva hanno un costo spropositato, ma tant'e' - aglio sminuzzatissimo e peperoncini. A seconda di quanto peperoncini mettiamo, l'ajvar verra' "blago" (leggero) oppure "ljuto" (piccante). Sale solo alla fine, e anche aceto di vino rosso. Non ci restera' che infilare l'impasto in boccacci di vetro a chiusura ermetica. Alla fine ci dividiamo il tutto in parti uguali. Un'ultinma cosa: mentre il composto si girava nei tegamoni, sul roštilj dove avevamo arrostito peperoni e melanzane arrostivamo salsicce e pancetta affumicata. Perche' non c'e' preparazione collettiva di ajvar che non si chiuda con una mangiata di carni arrosto sulle quali si bevono bottiglie di rakija (distillato di frutta, pure questo fatto in casa). E' la parte meno piacevole (per me) di tutto il rito, per via della carne

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24 août 2012 5 24 /08 /août /2012 10:30

Alle 5 e mezza del pomeriggio sulle autostrade slovene il traffico e’ intensissimo. Le autostrade sono modernissime e barriere antirumore le fiancheggiano, in modo che chi ci vive vicino sia disturbato al minimo. Gallerie artificiali permettono il passaggio di animali selvatici da una parte all’altra. Ti fermi in una qualsiasi stazione di servizio e la benzina devi mettertela da solo. Come in Austria e in Germania. Entri per pagare il conto e tutto e’ in ordine e pulitissimo e piu’ che in una stazione di servizio ti senti in un piccolo e efficiente self-service. Di fianco una serie di bidoni di colore diverso. Per la raccolta differenziata dei rifiuti. Di nuovo, come in Austria o in Germania. Se non fosse per il colore dei cartelli con le indicazioni delle uscite davvero ti sentiresti in Tirolo, in Carinzia, nella Stiria, in Baviera. Qui sono verdi, come in Italia e come negli altri Paesi dell’ex-Jugoslavia, e non con sfondo blu e scritte in bianco. E’ la Slovenia del benessere, a pieno titolo nell’Europa ricca, con i suoi 29.100 euro di PIL per abitante al quarantasettesimo posto nel mondo. Il traffico e’ di auto di pendolari che hanno lavorato per tutto il giorno e ora stanno tornando a casa. Il traffico di ritorno dei pendolari e’ spettacolo comune in tutto il mondo, ma nei Paesi vicini piu’ poveri a tornare a casa sono quelli che non si possono permettere di abitare in citta’ e si sistemano in modo piu’ precario nei sobborghi, mentre qui nei sobborghi e’ andata ad abitare la classe media. Come fossimo negli Stati Uniti, o in Europa Occidentale. In effetti, basta allontanarsi di pochi chilometri dall’anello autostradale che circonda Lubiana perche’ nel paesaggio riprendano il sopravvento le conifere, i prati e le case con i tetti spioventi e i lunghi balconi pieni di gerani rossi. Fatte le dovute proporzioni, e’ piu’ o meno come spostarsi da New York nel Vermont, ma lo spostamento e’ molto piu’ breve. D’altra parte Lubiana non e’ New York, ma una sobria capitale di 350.000 abitanti, in un Paese abitato da meno di due milioni di persone e di appena 20.000 chilometri quadrati, ovvero sedici volte piu’ piccolo dell’Italia.

„Eravamo rimasti in duecento   - commenta Janez, parroco in un villaggio a una ventina di chilometri a Nord-Est di Lubiana, di fianco all’autostrada per Maribor – adesso siamo piu’ di trecento. C’e’ chi ha restaurato la casa da dove erano partiti i genitori, c’e’ chi ha comprato un terreno e vi ha costruito una casa nuova. Certo e’ che oggi mi sento meno solo.  Nelle sere di primavera, finche’ dura la luce, anche i piu’ giovani giocano a bocce nel campo vicino alla chiesa, mentre i bambini fanno corse in bicicletta, sempre con i caschi da piccoli ciclisti, perche’ qui le regole si rispettano. Abbiamo una locanda, roba modesta dove i camerieri ora sono immigrati bosniaci, e una volta alla settimana viene un’orchestrina e allora tutti ballano valzer, polche e mazurche. Di stranieri non ne vediamo molti, tranne quelli che ci capitano per un guasto alla macchina. No, gli stranieri, e specialmente gli italiani, vengono nel nostro Paese solo per giocare ai casino’“. Ce ne sono tantissimi di casino’, sparsi un po’ dappertutto. C’e’ chi sospetta che siano il risultato di investimenti di dubbia origine, ma anche chi riconosce che sono un magnete che attira turisti, sommandosi alle attrattive della natura, a quelle del cibo onesto e a prezzi abbordabili, alle terme che sono diventate veri e propri aquapark. E’ dal turismo e da altre attivita’ del terziario che viene buona parte della prosperita’ della Slovenia: il terziario contribuisce per ben il 90% al valore aggiunto del Paese.

„Siamo un piccolo Paese alpino  - dice con espressione di orgoglio Mateja, ventidue anni e in partenza per un master in business administration una universita’ privata degli Stati Uniti - , ci conosciamo piu’ o meno tutti e questo significa anche che ci controlliamo reciprocamente. Anche qui a Lubiana, dove vivo io, ed e’ per questo che siamo uno dei Paesi piu’ sicuri della terra. Pero’ non e’ vero che da noi l’economia sia solo turismo, terme e casino’. Abbiamo una base industriale vivace e innovativa e su certe cose siamo fra i migliori al mondo. Siamo bravissimi negli elettrodomestici, negli articoli sportivi, nell’alimentare biologico e i nostri marchi sono conosciuti e apprezzati all’estero. E’ vero che non esiste piu’ la Jugoslavia, ma una birra Laško, un vino dei colli di Nova Gorica, un frigorifero Gorenje, un paio di leggerissimi sci Elan non hanno bisogno di troppe presentazioni, chi li compra sa che compra qualita’. La Jugoslavia si e’ disgregata quando io avevo meno di due anni, ma ora siamo leader nei mercati ex-jugoslavi perche’ i nostri marchi non li hanno dimenticati“. „Gia’   - aggiun go io -  anche perche’ in quei mercati non avete l’ostacolo della lingua e perche’ avete rimesso senza tanti problemi in piedi le reti commerciali che avevate“. „Pero’   - aggiunge – pero’ il problema sono i cinesi. Hanno imparato a fare cose che non sappiamo fare, e a venderle a prezzi bassi, anche nei mercati dove abbiamo vantaggi di tipo psicologico. I cinesi ci stanno tagliando fuori. Diciamo e ripetiamo fino alla nausea che non dobbiamo preoccuparci della concorrenza cinese, che con la qualita’ si vince, ma i segnali di perdita di competitivita’ anche sui nostri mercati semi-domestici sono evidenti pure ai ciechi e a chi non legge statistiche sul commercio con l’estero. Ti faccio un esempio: nella biancheria per la casa, un punto di vanto della nostra manifattura, le nostre vendite all’estero stanno declinando da anni. Con la caduta dei redditi in molti Paesi vicini cade l’attenzione alla qualita’ e aumenta quella nei confronti del prezzo. Le nostre armi si stanno spuntando“. Mentre sto mentalmente enumerando le tante cose made in Slovenija che ho da me   - davvero tante: il frigorifero, i mobili da cucina, la lavatrice, latte di vernice idrorepellente, lenzuola e federe, due paia di sci, la meta’ dei cibi che stanno in dispensa -   provoco Mateja su un altro punto: „ma come ti spieghi il fatto che lo stock per abitante degli Investimenti Diretti Esteri  in Slovenia e’ molto piu’ basso che nei Paesi vicini?“. Mateja mi risponde senza esitazione. „Siamo un Paese serio, non sfruttiamo il lavoro e le tasse le facciamo pagare, se siamo meno attrattivi di altri, e non farmi fare nomi, e’ perche’ alle nostre condizioni piccole imprese e avventurieri non sono interessati a investire“. Non so se abbia ragione, certo e’ che i salari in Slovenia sono allineati a quelli dell’Europa Occidentale. Quello che invece Mateja dimentica di dire e’ che alti sono i costi dell’energia, e che questo e’ dovuto al fatto che quel tipo di mercati e’ tutt’altro che concorrenziale, con una presenza dello Stato che non ha eguali nella gran parte dei paesi dell’Unione Europea.

La Slovenia e’ stato il primo Paese dell’allargamento UE datato 2004 ad aver adottato l’Euro. „Non abbiamo ingannato nessuno, non abbiamo imbrogliato sui conti“, mi fa notare un collega sloveno che oggi presta assistenza tecnica in progetti di pre-adesione in Paesi candidati o potenziali candidati. Ho capito a chi e a che cosa allude, e evito di stuzzicarlo. Certo e’ che il cammino dell’adesione, ancor prima di quello dell’adozione dell’Euro, e’ stato tutt’altro che un gioco. Per la Slovenia cosi’ come per gli altri Paesi che sono entrati a far parte dell’Unione nel 2004. Verifica della corrispondenza con i criteri di Copenhagen e poi negoziati di adesione capitolo per capitolo. Programmi di assistenza tecnica e continui „esami“. Altro che ingressi dalla porta posteriore ma comunque garantiti, quello e’ stato un processo lungo, complesso, con passi avanti e stop. Si trattava di riformare l’economia e le istituzioni in modo che le regole fossero coerenti con l’Acquis Comunitario. Un processo che ha spianato anche quello verso l’adozione dell’Euro.

Oggi la Slovenia ha i suoi problemi. Una crescita stagnante dopo un anno di recessione pesante (-8% del PIL  fra 2009 e 2010, +1,4% fra 2010 e 2011 e -0,2% stimato fra 2011 e 2012), una finanza pubblica non perfettamente in ordine: il rapporto deficit/PIL e’ del 4,5% e quello debito pubblico/PIL, pur se modesto (45,5%) nel 2011 e’ comunque molto piu’ alto che nell’anno precedente (38,8% nel 2010). Stento a prendere sul serio i giudizi delle agenzie di rating (ma sull’argomento ho giurato da un po’ di non spendere piu’ una sola parola), ma non capisco sulla base di quale modello Fitch abbia portato il rating del debito pubblico sloveno a A- con Outlook negativo. Risultato: tassi di interesse per i titoli a lungo termine attorno al 7%. Inspiegabile in un Paese con fondamentali saldi e una credibilita’ basata su un’economia reale solida. „Non capisco neanch’io   - dice il collega -. Certo e’ che comunque non saremo noi a creare problemi all’Euro. Se pensiamo all’Eurozona come a una barca, pensiamo che il pericolo che si rovesci puo’ verificarsi se ai personaggi di maggiore taglia vengono convulsioni. Noi siamo un passeggero di piccola taglia. E poi siamo un Paese serio e affidabile. I mercati lo sanno“.

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17 août 2012 5 17 /08 /août /2012 10:23

Leggo ora i risultati di un’indagine demoscopica sui comportamenti degli europei di fronte al fumo. E' un Eurobarometro completato a Maggio di quest'anno. Chi fuma di piu'? I greci (40% della popolazione), i bulgari e i lettoni (36%), gli austriaci e gli spagnoli (33%), gli ungheresi e i polacchi (32%). Chi fuma di meno? Gli svedesi (appena il 13% della popolazione), i portoghesi e gli slovacchi (23%), gli italiani e gli olandesi (24%). La media UE-27 e' 28%. In sintesi, a fumare e’ una minoranza, pur se nient’affatto trascurabile, dei cittadini dei 27 Paesi dell’Unione. La direttiva  2003/33 sulla pubblicita’ a favore dei prodotti del tabacco sembra dunque produrre risultati. E’ quella che ha bandito la pubblicita’ delle sigarette, dei sigari e del tabacco da pipa da tutti i media  degli Stati membri e dei Paesi candidati e potenziali candidati, ma anche quella che indica i messaggi dissuasivi da imprimere suille confezioni. Aspetto ora una direttiva magari ancora piu’ rigorosa che aiuti a combattere altre malattie endemiche e socialmente dannosissime,  sopra tutte l’obesita’. Per quanto tempo dovremo aspettare fino a quando dalle televisioni saranno bandite pubblicita’ di merendine e patatine? Pubblicita’ ingannevoli, mi sembra, dato che in generale spacciano per sani (e per sane abitudini il consumarli) cibi ipercalorici che si mangiano fuori dai pasti. Che almeno vengano proibite durante le ore in cui piu’ della meta’ dei bambini e degli adolescenti del continente sono davanti alla televisione. Va benissimo imprimere sui pacchetti di sigarette avvertenze del tipo “il fumo provoca il cancro”, ma quando vedremo sui pacchetti di patatine e merendine avvertenze come “consumare con cautela; determina malattie gravi”, con aggiunte foto di obesi (naturalmente con il volto schermato, a protezione della privacy)?

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