Fincantieri e’ controllata al 100% da Fintecna, finanziaria il cui capitale e’ al 100% nelle mani della
Cassa Depositi e Prestiti, il cui capitale e’ per il 70% nelle mani del Ministero dell’Economia della Repubblica Italiana. L’altro colosso della cantieristica navale europea, Chantiers de
l’Atlantique, ha un capitale che per un terzo e’ nelle mani dello Stato francese.
Gli aiuti di Stato sono proibiti nell’Unione Europea, anche nel settore della cantieristica navale, ma
senza la presenza di capitale pubblico c’e’ da dubitare che la cantieristica navale europea sarebbe ancora in piedi, di fronte alla concorrenza sudcoreana. Al di la’ di ogni considerazione
possibile sulla qualita’ delle costruzioni navali del vecchio continente.
Da un mese l’Unione Europea non e’ piu’ un’Unione a 27, ma a 28. In materia di cantieristica navale
quello che e’ permesso all’Italia e alla Francia non e’ pero’ permesso alla Croazia. Niente da fare: Zagabria deve vendere i propri cantieri navali ai privati, sperando di trovarne di
interessati ad investire in un settore dove la concorrenza non e’ intra-europea ma mondiale. Anzi e di piu’: l’accettazione di un piano di privatizzazione degli stessi e la messa in opera di
azioni congruenti e’ stata una delle condizioni la cui accettazione ha sbloccato il negoziato sul capitolo VIII del trattato di adesione, quello che riguarda le politiche della
concorrenza.
Sul litorale, i cantieri sono cinque. Da Nord a Sud, il cantiere Uljanik a Pola/Pula, il cantiere 3
Maggio a Fiume/Rijeka, il cantiere di Kraljevica, quello di Trau’/Trogir e quello Di Spalato/Split. Sulla cantieristica navale aveva puntato prima di tutto l’impero austro-ungarico, immaginando
di diventare una potenza marittima se non certo del rango della Gran Bretagna ma almeno di quello dell’Italia, che peraltro proprio sul mare aveva umiliato alla battaglia di Lissa (1866). Dopo la
prima guerra mondiale, il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (poi semplicemente Regno di Jugoslavia) aveva comunque mantenuto le posizioni, mentre la Repubblica Socialista Federativa di
Jugoslavia i cantieri li aveva rilanciati. Sulla banchine dei porti adriatici i meno giovani ti raccontano dei tempi belli dell’era di Tito, e ti ripetono la storia e la leggenda del maresciallo
che prima di diventare comunista e poi leader aveva lavorato come meccanico proprio a Kraljevica, negli anni venti. Anche questa icona fa parte della jugonostalgia, poco diffusa in Croazia, ma
non assente.
A Zagabria sanno che l’adesione all’Unione Europea comporta non solo benefici ma anche costi, e devono
registrare che la privatizzazione dei cantieri navali tutto e’ fuorche’ una storia di successo. Senza aiuti di Stato i cantieri navali, di proprieta’ pubblica o privata, diventano appetibili agli
investitori solo se il sito che occupano e’ bello e puo’ diventare uno spazio dove costruire marinas, alberghi e centri commerciali. Come a Trau’ per esempio, dove mi fermo a bere una birra con
un amico che lavora a Slobodna Dalmacija, lo storico quotidiano di Spalato. „Questi manderanno sul lastrico decine di migliaia di famiglie, non ti so
dire quante, ma si tratta di decine di migliaia, dall’Istria al Quarnaro e fino qui. Avere nella propria citta’ un cantiere navale era l’orgoglio della comunita’ locale, prima del comunismo,
durante e dopo. Adesso e’ un problema sociale, ma non credere troppo ai nostalgici, adesso stiamo solo pagando il prezzo di un’illusione, quella dell’autogestione dei tempi della Jugoslavia.
Nelle aziende, cosi’ diverse da quelle del blocco orientale, all’apparenza ognuno diceva la sua. Un uomo un voto era la regola, ma il voto di un uomo o di una donna finiva sempre con il contare
meno di quello del dirigente, che doveva essere gradito al partito, al fronte popolare e al sindacato. E che sapeva cose che nessun altro sapeva e le tirava fuori al momento del voto, uscendo
sempre vincente. I privati si tengono alla larga dal settore, anche perche’ se vogliono comprare si devono addossare il 40% dei debiti. Ma mettiamo che tutto vada al meglio, e cioe’ che quegli
spazi (con l’indice mi segnala dove si trovano) divengano un luna park per turisti. E poi che accadra’? Qualcuno di quanti lavoravano nel cantiere sara’ impiegato nelle nuove attivita’. Gli
faranno un corso di formazione. Ma dove sta scritto che tutti noi dalmatinci dobbiamo diventare cuochi, camerieri, autisti di autobus, guide
turistiche?“
Altra musica ascolto quando mi sposto di pochi metri e mi imbatto in una coppia di giovanissimi, di
quelli forniti di Ipad ben esibito. Li abbordo e riprendo qualche domanda, fra quante fatte al mio amico, e ricevo da entrambi una risposta secca: „il turismo e’ una attivita’ moderna, non quella
roba li’“. Ma vi pagheranno da fame e vi potranno mandare via a calci da un momento all’altro, azzardo. E loro: „e secondo te ora c’e’ qualcuno che ci paga?“.
A pagare per ora sono io. I due mojito dei ragazzi e il mio molto piu’ modesto caffe’