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13 décembre 2013 5 13 /12 /décembre /2013 07:22

Vivere (e lavorare) in un posto che e' all'estremo occidente di un fuso orario comporta vantaggi e svantaggi, cosi' come vivere e lavorare in un posto che ne e' all'estremo oriente. Mettiamo che viviate e lavoriate nella Galizia iberica (da non confondere con la Galizia), estremo ovest del fuso orario dell'Europa Centrale: sappiate che sulla via per raggiungere il posto di lavoro se sono le otto di mattina e' ancora buio, almeno a Dicembre. Al contrario, allo stesso tempo e dentro lo stesso fuso orario, se siete a Belgrado (per esempio) oppure anche a Bari o Brindisi in quello stesso momento e a quella stessa ora splende il sole (sempre che non siate in una giornata di nuvoloso o coperto ...). Pochi chilometri a Est di Bari o Brindisi e vi trovate all'estremo ovest di un fuso orario (East European Time) che comprende persino la Siria. Diciamo che siete a Corfu'. Come nel caso galiziano, in questo vi troverete a raggiungere il vostro posto di lavoro quando ancora e' notte. L'inverso vi capitera' alle ore del calare del sole: ancora luce nella Galizia iberica alla stessa ora di quando a Bari o Belgrado e' notte e ancora luce a Corfu' quando alla stessa ora in Siria e' notte.

Domanda: e' meglio cominciare la giornata di lavoro col buio e chiuderla con la luce oppure e' meglio aprirla con la luce e chiuderla con il buio?

Non credo sia una domanda oziosa, perche' l'orologio influenza il nostro orologio biologico e quindi la nostra vita di lavoro e di relazione con i nostri simili ...

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11 novembre 2013 1 11 /11 /novembre /2013 08:02

 

 

Sentite questa. Qualche giorno fa mi telefona un conoscente (lui si definisce come mio amico): „ti invito a cena stasera, porta la tua compagna, ci divertiremo. Mi raccomando, sii puntuale, alle nove e mezzo saremo tutti li’“.

Accetto con piacere (adoro stare in mezzo alla gente) e come da patto alle nove e mezzo io e la mia compagna  siamo „li’“. L’anfitrione no. „Il traffico gioca brutti scherzi“ questa e’ la scusa che avanzo nei confronti della mia compagna che, per origine geografica e formazione familiare e’ un po’ (troppo) austro-ungarica e per questo detesta chi arriva in ritardo agli appuntamenti. Nel frattempo, per ingannare il tempo, ordiniamo una mezza bottiglia di vino bianco accompagnata da un po’ di olive brune.

Il conoscente che si autodefinisce come mio amico arriva alle dieci e un quarto, giusto quando stiamo per svenire per la fame e con lo stomaco pieno solo di vino e pane. Arriva accompagnato da due sgallettate di una quindicina d’anni (anzi, di piu’) piu’ giovani di lui.

Fra gli invitati al desco non ci siamo solo io e la mia compagna, ma anche altri. L’anfitrione e’ raggiante e comincia il suo comizio, che e’ poi un discorso da osteria, sul male che la pubblica amministrazione (lui la chiama „burocrazia“ pensando di usare provocativamente un termine a connotazione negativa, evidentemente non ha mai letto Max Weber) crea nell’economia e nella societa’. Con le sgallettate che pendono dalle sue labbra.  A seguire un predicozzo sulla natura perversa della classe politica, chiuso con la rivelazione della serata: „ho votato per i cinque stelle“. Restiamo in silenzio ad ascoltarlo, anche se non proprio convinti. Finche’ non arriva a sentenziare che „la burocrazia non crea valore aggiunto“. Sto per svegliarmi e sono tentato di fargli una lezione di economia, ma invece preferisco consultarmi con un incrocio di occhiate con la mia compagna per decidere di tornare a casa.

Ah, dimenticavo: il conoscente e’ uno che ha messo su un’azienda che fabbrica barattoli.  Grazie a incentivi statali che hanno l’effetto di remunerare il suo lavoro e coprire le inevitabili perdite della sua azienda. Ma le due sgallettate non lo sanno, o fanno finta di non saperlo

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9 novembre 2013 6 09 /11 /novembre /2013 09:37

stas e’ nato il 25 Dicembre, giorno di Natale anche per la Chiesa Ortodossa autocefala greca, come per la Chiesa Cattolica. Il 25 Dicembre del 1982. Mancano dunque poche settimane al suo trentunesimo compleanno. Come piu’ della meta’ dei suoi coetanei stas non ha un lavoro regolare. Nel suo caso, neppure uno di quelli molto precari.

E’ orgoglioso di un aggeggio multimediale (non saprei come altrimenti definirlo) che gli hanno regalato per il suo trentesimo compleanno, poco meno di un anno fa. „Costa trecentoquindici (315) Euro“, mi fa, per sottolineare che in mano ha una cosa che vale. Prendo in mano „la cosa che vale“ e vado direttamente al punto, cioe’ alla rubrica dei contatti. Poverissima, conto 23 contatti, il che significa che ci sono solo i numeri di telefono di mamma-telefonino, papa’-telefonino, sorella-telefonino, casa-fisso e di una cerchia ristretta di amici. Rispetto il diritto alla privacy e non eccedo, ma cliccando su diverse icone realizzo che e’ pieno di contenuti scaricati e di un gran numero di applicazioni. Di contenuti prodotti quasi zero. Conclusione: Kòstas nel mondo di oggi e’ uno spettatore, non un attore. Gli mostro il mio elementare talk-phone, una cosa che serve per telefonare, ricevere telefonate e mandare e ricevere e-mail e SMS. E’ uno strumento che mi conviene, leggerissimo e non sfondatasche. Mi piace. A Kòstas no. Mi guarda con un sorriso tollerante, come quello del figlio che pensa che il padre sia assolutamente inadatto a sopravvivere nel mondo di oggi.

La rubrica sul mio portatile ha 677 contatti, contro i 23 di quella di Kostas.  Certamente una cosa e’ avere trent’anni altra quasi sessanta, ma la differenza tra la ricchezza della mia rubrica e la poverta’ della sua, al netto di quella dovuta alla differenza di eta’, la dice lunga. Lui consuma, io ho basi (numero di contatti, cioe’ di relazioni) necessarie per essere un produttore.

„Sei tagliato fuori dal mondo“, gli dico, „il tuo aggeggio multimediale da 315 Euro non vale niente rispetto al mio talkphone da 19,90 Euro. Da ora in poi, promettimelo, prima di prendertela con la societa’, la politica, le banche e quant’altri che secondo te avrebbero un disegno perverso finalizzato ad emarginarti, e sottolineo ’prima’, fatti fare dei biglietti da visita e lasciane un esemplare nelle mani di qualsiasi persona con cui entrerai in contatto. E poi gira con un taccuino e una penna e a chiunque incontrerai chiedi almeno il numero di telefono e quello di telefonino. E lascia il tuo. Taccuino e penna, perche’ non tutti hanno un biglietto da visita ... E poi scrivi, scrivere vuol dire lanciare messaggi verso gli altri; come pretendi che il mondo si accorga di te se tu al mondo non fai neppure sapere che esisti? Te lo dico senza pretendere di trasmetterti una verita’ assoluta ma per invitarti a riflettere ...“

 

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8 novembre 2013 5 08 /11 /novembre /2013 18:10

Adesso guardate questo film del 1960, "Ljubav i moda" (Amore e moda), e scoprirete ancora una volta verso dove la Jugoslavia di allora guardava. Non impegnatevi a seguire tutto il film.

La sigla (e lo scooter) rivelano molto. Fra loro si chiamano "compagni", ma tutto il resto non ha niente di socialista. Il direttore dell'industria di abbigliamento ("compagno direttore") scommette sulla moda (anzi sulla "jugo-moda"),  sulla concorrenza e su tante altre altre cose poco "socialiste". Ci credono in pochi, ma ...

https://www.youtube.com/watch?v=n8TKiZ0UKWo ... 

 

https://www.youtube.com/watch?v=n8TKiZ0UKWo



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8 novembre 2013 5 08 /11 /novembre /2013 18:02
Storia della Jugoslavia attraverso i suoi film.
PRIMA PUNTATA - Qui Beba Loncar e Miha Bahor (entrambi bellissimi) in "Dvoje" (come dire i due, la coppia, ...), un film del 1961 di Aleksandar Petrović. Nella Belgrado degli anni Sessanta, ufficialmente capitale del movimento dei non allineati (ne' con Mosca ne' con Washington), ma con il cuore a ovest, anzi a Sud ... . Guardate questi sfondi e poi ditemi se non vi sembra che ritraggano Roma (anzi piu' Milano) di quegli stessi anni ... https://www.youtube.com/watch?v=EhDs_nxXRPM P.S.: non e' necessario capire la lingua per capire il senso ...
Mai detto abbastanza: Italia e Jugoslavia (oggi direi "Jugoslavie") si assomigliano molto ...
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3 octobre 2013 4 03 /10 /octobre /2013 20:29
Per quello che e' successo a Lampedusa (e continuera' a succedere) I blame the states. Quella gente e' morta in quel modo perche' a loro e' stato negato il diritto di viaggiare che altri hanno. Sono gli Stati che, innalzando barriere e pretendendo visti, hanno la responsabilita' primaria di queste tragedie. Negano il diritto a viaggiare con mezzi sicuri, gettano nelle braccia di criminali profittatori esseri umani.
Come se non bastasse, durante le tragedie come quelle di Lampedusa ecco i commenti dei politici ipocriti, quelli che dicono che per "controllare l'immigrazione" (cosi' dicono) bisogna migliorare le condizioni di vita nei paesi di partenza. Ma che faccia di c... che hanno. Sono gli stessi che hanno approvato leggi di bilancio che in Italia hanno ridotto la quota di aiuti allo sviluppo alla misera percentuale dello 0,2% del PIL. Facce di c...
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12 septembre 2013 4 12 /09 /septembre /2013 18:47
Abbiamo bisogno degli Stati Uniti d'Europa. E dunque di un'Europa dove la politica e l'armonizzazione delle politiche nazionali contino per davvero, a dispetto delle posizioni di singoli Stati. E se risultasse necessario, per perseguire questo fine, rivedere la carta ci "chi ci sta e di chi non ci sta", di chi e' in Europa per sabotare la costruzione europea e non per contribuirvi e prendere le decisioni conseguenti dovremo farlo. Per chi confonde l'Unione Europea con una semplice area di libero scambio e' pronta un'alternativa: entrare a far parte dello Spazio Economico Europeo. I britannici , gli scandinavi e qualche Paese dell'Europa dell'Est sono avvisati: nessuno vi sbattera' porte in faccia, ma decidete: o dentro o fuori. E se fuori, accontentatevi dello status di cui godono Paesi come Norvegia e Svizzera. Non possiamo permettere di lasciare nelle mani di chi voglia esercitare il potere di veto o di opting out conquiste straordinarie come la libera circolazione delle persone (vedi alla voce "Accordi di Schengen") o la moneta unica. O l'Unione Europea evolvera' verso una dimensione federale, con istituzioni politiche forti ed "europee", o morira' sotto i colpi della speculazione finanziaria e delle quinte colonne che lavorano per gli interessi di oltreoceano e non per quelli dell'Europa. E questo vale per le prossime sfide, prima di tutto quella di una politica estera comune, il cui retroterra non puo' essere una politica di difesa subalterna agli interessi degli Stati Uniti (noi compriamo armi le cui tecnologie sono sviluppate da loro), ma una politica comune della difesa basata non sul la NATO ma su un sistema di difesa europeo. A proposito, da quale parte sta scritto che l'alleanza atlantica rappresenta gli interessi europei sempre e comunque? Sul fatto che rappresenti gli interessi (confusi) degli statunitensi non ho dubbi. Ma che ce ne viene a noi europei dal sostenerli sempre e comunque, e sempre incondizionatamente? Non siamo un protettorato degli Stati Uniti, al contrario in moltissimi casi i nostri interessi di europei possono trovarsi in conflitto con quelli di Oltreatlantico. Non sto affermando niente di nuovo, tutt'al piu' riecheggiando dichiarazioni di statisti certamente europei fino in fondo come De Gaulle (destra) e Mitterand (sinistra). Da loro non ho mai sentito le sciocchezze che, per esempio, ha detto (e messo in opera) Sarkozy quando ha "decretato" la reintegrazione della Francia nel comando integrato NATO o le stupidaggini di Berlusconi sull'ancoraggio al campo occidentale. Ma quale campo occidentale? Personalmente (e so che questo conta poco) mi sento piu' vicino, da latino, a un argentino o a un brasiliano che non a un danese o a uno statunitense e da culturalmente francofono a un algerino che a uno statunitebse. Fuori dall'asse Londra-New York, l'Europa di Parigi, di Madrid, di Roma (e anche di Berlino) gode di un'ammirazione che a Washington nemmeno si sognano di avere. Perche' dobbiamo sempre e comunque automaticamente essere integrati in un dispositivo che funziona sullebasi di decisioni prese a Washington e non a Parigi, Madrid, Roma e Berlino?
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4 septembre 2013 3 04 /09 /septembre /2013 14:36

Fincantieri e’ controllata al 100% da Fintecna, finanziaria il cui capitale e’ al 100% nelle mani della Cassa Depositi e Prestiti, il cui capitale e’ per il 70% nelle mani del Ministero dell’Economia della Repubblica Italiana. L’altro colosso della cantieristica navale europea, Chantiers de l’Atlantique, ha un capitale che per un terzo e’ nelle mani dello Stato francese.

Gli aiuti di Stato sono proibiti nell’Unione Europea, anche nel settore della cantieristica navale, ma senza la presenza di capitale pubblico c’e’ da dubitare che la cantieristica navale europea sarebbe ancora in piedi, di fronte alla concorrenza sudcoreana. Al di la’ di ogni considerazione possibile sulla qualita’ delle costruzioni navali del vecchio continente.

Da un mese l’Unione Europea non e’ piu’ un’Unione a 27, ma a 28. In materia di cantieristica navale quello che e’  permesso all’Italia e alla Francia non e’ pero’ permesso alla Croazia. Niente da fare:  Zagabria deve vendere i propri cantieri navali ai privati, sperando di trovarne di interessati ad investire in un settore dove la concorrenza non e’ intra-europea ma mondiale. Anzi e di piu’: l’accettazione di un piano di privatizzazione degli stessi e la messa in opera di azioni congruenti e’ stata una delle condizioni la cui accettazione ha sbloccato il negoziato sul capitolo VIII del trattato di adesione, quello che riguarda le politiche della concorrenza.

Sul litorale, i cantieri sono cinque. Da Nord a Sud, il cantiere Uljanik a Pola/Pula, il cantiere 3 Maggio a Fiume/Rijeka, il cantiere di Kraljevica, quello di Trau’/Trogir e quello Di Spalato/Split. Sulla cantieristica navale aveva puntato prima di tutto l’impero austro-ungarico, immaginando di diventare una potenza marittima se non certo del rango della Gran Bretagna ma almeno di quello dell’Italia, che peraltro proprio sul mare aveva umiliato alla battaglia di Lissa (1866). Dopo la prima guerra mondiale, il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (poi semplicemente Regno di Jugoslavia) aveva comunque mantenuto le posizioni, mentre la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia i cantieri li aveva rilanciati. Sulla banchine dei porti adriatici i meno giovani ti raccontano dei tempi belli dell’era di Tito, e ti ripetono la storia e la leggenda del maresciallo che prima di diventare comunista e poi leader aveva lavorato come meccanico proprio a Kraljevica, negli anni venti. Anche questa icona fa parte della jugonostalgia, poco diffusa in Croazia, ma non assente.

A Zagabria sanno che l’adesione all’Unione Europea comporta non solo benefici ma anche costi, e devono registrare che la privatizzazione dei cantieri navali tutto e’ fuorche’ una storia di successo. Senza aiuti di Stato i cantieri navali, di proprieta’ pubblica o privata, diventano appetibili agli investitori solo se il sito che occupano e’ bello e puo’ diventare uno spazio dove costruire marinas, alberghi e centri commerciali. Come a Trau’ per esempio, dove mi fermo a bere una birra con un amico che lavora a Slobodna Dalmacija, lo storico quotidiano di Spalato. „Questi manderanno sul lastrico decine di migliaia di famiglie, non ti so dire quante, ma si tratta di decine di migliaia, dall’Istria al Quarnaro e fino qui. Avere nella propria citta’ un cantiere navale era l’orgoglio della comunita’ locale, prima del comunismo, durante e dopo. Adesso e’ un problema sociale, ma non credere troppo ai nostalgici, adesso stiamo solo pagando il prezzo di un’illusione, quella dell’autogestione dei tempi della Jugoslavia. Nelle aziende, cosi’ diverse da quelle del blocco orientale, all’apparenza ognuno diceva la sua. Un uomo un voto era la regola, ma il voto di un uomo o di una donna finiva sempre con il contare meno di quello del dirigente, che doveva essere gradito al partito, al fronte popolare e al sindacato. E che sapeva cose che nessun altro sapeva e le tirava fuori al momento del voto, uscendo sempre vincente. I privati si tengono alla larga dal settore, anche perche’ se vogliono comprare si devono addossare il 40% dei debiti. Ma mettiamo che tutto vada al meglio, e cioe’ che quegli spazi (con l’indice mi segnala dove si trovano) divengano un luna park per turisti. E poi che accadra’? Qualcuno di quanti lavoravano nel cantiere sara’ impiegato nelle nuove attivita’. Gli faranno un corso di formazione. Ma dove sta scritto che tutti noi dalmatinci dobbiamo diventare cuochi, camerieri, autisti di autobus, guide turistiche?“

Altra musica ascolto quando mi sposto di pochi metri e mi imbatto in una coppia di giovanissimi, di quelli forniti di Ipad ben esibito. Li abbordo e riprendo qualche domanda, fra quante fatte al mio amico, e ricevo da entrambi una risposta secca: „il turismo e’ una attivita’ moderna, non quella roba li’“. Ma vi pagheranno da fame e vi potranno mandare via a calci da un momento all’altro, azzardo. E loro: „e secondo te ora c’e’ qualcuno che ci paga?“.

A pagare per ora sono io. I due mojito dei ragazzi e il mio molto piu’ modesto caffe’

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26 août 2013 1 26 /08 /août /2013 18:02

Questa volta a dire sciocchezze sull'Euro non sono gli euroscettici (quelli, tutto sommato, fanno il loro mestiere). E neppure qualche sprovveduto. L'ultima sciocchezza circola in alcuni istituti di ricerca europei: l'Eurozona deve funzionare come gli accordi di Bretton Woods, sostengono. Cioe': ogni Stato entra e esce dall'Eurozona a piacimento e secondo convenienza. Prende il taxi finche' gli conviene e poi scende e prende l'autobus. Non oso immaginare quale fiducia i mercati potrebbero avere nei confronti di una moneta  ridotta ad essere solo un pivot di un sistema monetario. Ma il nodo principale, e cioe' quello di assicurare che la BCE faccia il prestatore di ultima istanza, resta, per l'appunto, il nodo da sciogliere. Il che presuppone politiche fiscali comuni, sorveglianza unica sulle banche commerciali, mutualizzazione del debito (Eurobond). Cosa che si legge anche come "solidarieta'" e come "Europa forte, Stati nazionali deboli". Per sopravvivere

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24 août 2013 6 24 /08 /août /2013 10:43
La République non ha il coraggio di ammettere che quello che e' sotto gli occhi di tutti e' vero, e cioe' che ci sono porzioni del territorio che Parigi non controlla perche' sono in mano alle mafie. Porzioni di territorio dove, violenza a parte, chiunque abbia una attivita' economica deve pagare una 'tassa' all'organizzazione criminale che controlla il territorio. Non e' solo questione di Corsica, Colombia d'Europa (e lo dico senza tema di smentita, le statistiche lo attestano) e neppure della piu' remota Mayotte. Anche porzioni del territorio della France Métropolitaine sono a rischio. Gli esperti internazionali hanno da tempo avvertito Parigi sui rischi che corre la Francia, e anche additato l'Italia (si', l'Italia che a Parigi viene guardata dall'alto in basso) e la sua lotta contro il crimine organizzato come un esempio da seguire. Per esempio con una legge sulla confisca dei beni dei mafiosi. Ma a Parigi c'e' qualcuno che preferisce che i problemi vengano nascosti sotto il tappeto ...
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Latitudini &Amp; Longitudini

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