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15 août 2013 4 15 /08 /août /2013 07:29

Tahar e' uno dei miei (tanti) amici e colleghi che ho in Algeri. "Je ne suis pas arabe, je suis cabile" tiene sempre a sottolineare. Parla un francese perfetto, da accademia, un arabo ineccepibile, arabo 'classico' (mi dicono), uno spagnolo confuso con l'italiano, ma ci tiene a dire che la lingua che ha imparato succhiando il latte materno e' una lingua berbera. "Ce l'abbiamo fatta contro chi era sempre piu' forte di noi: romani, visigoti, arabi, turchi e per finire francesi. E ce la faremo persino in questa battaglia che segnera' il corso di questo secolo, la battaglia contro l'omologazione al modello anglosassone", aggiunge. Mio figlio era fra quanti si batterono perche' la lingua berbera venisse insegnata, a cominciare dalle scuole elementari. "Non ridere"   - mi fa, ridendo -  "ma ti dico una cosa: noi cabili stiamo agli altri algerini come gli altoatesini tedeschi stanno agli altri italiani".

Stiamo su Skype, come facciamo spesso, e io gli chiedo che cosa ne pensi di quello che sta succedendo in Siria, e di quello che sta succedendo in Egitto. "Non so risponderti, guardo quella televisione del Golfo, trop d'images, peu de commentaires. Qui abbiamo provato a stabilire un sistema a meta' fra il socialismo e il capitalismo, e non ci siamo riusciti, ma che cosa vogliano quelli del Mashrak non lo capisco. La fine della guerra fredda ci ha lasciati tutti soli, ecco quello che ti posso dire". Dalla videocamera che e' sul suo laptop intravedo solo un pezzo di cielo. Appartiene al cielo di Algeri, non a quello della Cabilia. "A Tizi-Ouzou avrei molto da fare, mi darebbero un incarico in universita', ma per ora resto in Algeri, anche se (e qui ride ancora una volta) qui mi sento come un altoatesino a Roma, mi capisci?" Cerco di spostare la conversazione sul tema dell'intreccio fra politica e rerligione nel mondo islamico. "Le religioni passano, gli uomini restano" e' il suo commento, e poi continua dicendomi che quando la ricchezza sara' meglio distribuita non vedremo piu' piazze in agitazione, ma tranquilli discorsi al caffe'. Come nelle cittadine della Berberia di una volta - chiedo? "Nonb c'e' mai stata 'una volta', mi risponde. "Nemmeno in Europa ha vinto Voltaire", conclude. E io non ho nulla da replicare.

Alla fine, e cioe' prima di definitivamente chiudere la conversazione, si rivolge a me come italiano. Per lanciarmi un messaggio, da berbero e da islamoscettico: "datevi da fare, qui in Algeria la gente si fida piu' di voi che degli altri occidentali"

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15 août 2013 4 15 /08 /août /2013 07:29

Tahar e' uno dei miei (tanti) amici e colleghi che ho in Algeri. "Je ne suis pas arabe, je suis cabile" tiene sempre a sottolineare. Parla un francese perfetto, da accademia, un arabo ineccepibile, arabo 'classico' (mi dicono), uno spagnolo confuso con l'italiano, ma ci tiene a dire che la lingua che ha imparato succhiando il latte materno e' una lingua berbera. "Ce l'abbiamo fatta contro chi era sempre piu' forte di noi: romani, visigoti, arabi, turchi e per finire francesi. E ce la faremo persino in questa battaglia che segnera' il corso di questo secolo, la battaglia contro l'omologazione al modello anglosassone", aggiunge. Mio figlio era fra quanti si batterono perche' la lingua berbera venisse insegnata, a cominciare dalle scuole elementari. "Non ridere"   - mi fa, ridendo -  "ma ti dico una cosa: noi cabili stiamo agli altri algerini come gli altoatesini tedeschi stanno agli altri italiani".

Stiamo su Skype, come facciamo spesso, e io gli chiedo che cosa ne pensi di quello che sta succedendo in Siria, e di quello che sta succedendo in Egitto. "Non so risponderti, guardo quella televisione del Golfo, trop d'images, peu de commentaires. Qui abbiamo provato a stabilire un sistema a meta' fra il socialismo e il capitalismo, e non ci siamo riusciti, ma che cosa vogliano quelli del Mashrak non lo capisco. La fine della guerra fredda ci ha lasciati tutti soli, ecco quello che ti posso dire". Dalla videocamera che e' sul suo laptop intravedo solo un pezzo di cielo. Appartiene al cielo di Algeri, non a quello della Cabilia. "A Tizi-Ouzou avrei molto da fare, mi darebbero un incarico in universita', ma per ora resto in Algeri, anche se (e qui ride ancora una volta) qui mi sento come un altoatesino a Roma, mi capisci?" Cerco di spostare la conversazione sul tema dell'intreccio fra politica e rerligione nel mondo islamico. "Le religioni passano, gli uomini restano" e' il suo commento, e poi continua dicendomi che quando la ricchezza sara' meglio distribuita non vedremo piu' piazze in agitazione, ma tranquilli discorsi al caffe'. Come nelle cittadine della Berberia di una volta - chiedo? "Nonb c'e' mai stata 'una volta', mi risponde. "Nemmeno in Europa ha vinto Voltaire", conclude. E io non ho nulla da replicare.

Alla fine, e cioe' prima di definitivamente chiudere la conversazione, si rivolge a me come italiano. Per lanciarmi un messaggio, da berbero e da islamoscettico: "datevi da fare, qui in Algeria la gente si fida piu' di voi che degli altri occidentali"

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10 août 2013 6 10 /08 /août /2013 11:28

I prati sono sistematicamente ben tosati e innaffiati. Ai bordi dei prati ci sono i fiori, li cambiano a ogni stagione e a me piacciono soprattutto quelli che spuntano all’inizio della primavera. In mezzo ai prati, boschetti di latifoglie. Sotto le latifoglie panchine. C’e’ chi vi si siede solo per riposarsi qualche minuto e chi ci resta per ore, con un libro fra le mani a leggerlo. Un trenino, di quelli che portano i turisti in giro per i centri storici, trasporta la gente da un angolo all’altro del comprensorio. Troppo vasto per muoversi a piedi. Ci vado spesso al cimitero comunale di Novi Sad, ovviamente quando sono a Novi Sad. Tra i prati, i boschetti, i vialetti sono ricavate zone dove ci sono le lapidi. Lapidi, niente cappelle gentilizie, e davanti a ogni lapide un fazzoletto di prato. Il massimo che e’ consentito, tanto per dare il segno di una differenza sociale o di capacita’ di spesa, e’ la differenza nella grandezza delle lapidi e negli ornamenti, ma i piu’ scelgono il modello standard proposto dall’azienda comunale che gestisce il comprensorio. Lapidi tutte uguali, anche se solo all’apparenza. Le guardo da vicino e mi piace scoprire che sotto il tale fazzoletto di terra ci stanno cattolici ungheresi, sotto l’altro protestanti slovacchi, sotto l’altro ancora (e sono la maggioranza) ortodossi serbi o montenegrini. Mi guidano i nomi e i cognomi e il tipo di croci.

Ci sono anche molte lapidi senza croci. Quelle di chi e’ nato e morto comunista, e jugoslavo prima che serbo o qualsiasi altra cosa: sopra il nome, o sopra i nomi, la stella rossa a cinque punte. Quelle con la stella di Davide (poche, la maggioranza degli ebrei e’ sepolta in un altro cimitero) e quelle senza emblemi, ne’ croci ne’ stelle. E’ una di queste ultime la meta delle visite della mia compagna, che mi fa piacere accompagnare, quando posso. Li’ ci sono Radissav, in vita  comunista e direttore di una zadruga (cooperativa) oltre che raffinato divoratore della letteratura francese e russa dell’ottocento e sua moglie Milena, impiegata dello Stato e scettica su tutto. Due jugoslavi veri: lui montenegrino e lei di una citta’ della Serbia al confine con la Bosnia-Erzegovina.

La mia compagna usa deridere la neoborgesia rampante nata nel disordine degli anni di Milošević. Non e’ ortodossa, ne’ cattolica, ne’ protestante, ne’ ebrea. Della religione ha un’idea vaga che sconfina nel „tutte le religioni sono uguali e tutte hanno lo stesso messaggio: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te e aiuta sempre l’altro perche’ domani potresti avere bisogno del suo aiuto“. Praticare attivamente una religione e’ invece per lei sintomo di superstizione e ignoranza condite con comportamenti esibitivi: elargizioni ben pubblicizzate di doni alla Chiesa, matrimoni in abiti sontuosi per dimostrare la propria capacita’ economica, in Chiesa a Natale e a Pasqua e mai in Chiesa nel resto dell’anno, tanto per mostrare agli altri chi si e’. Roba da neoborghesi con alle spalle fortune di dubbia origine, per l’appunto. A trovare Radissav e Milena ci siamo andati anche in questi giorni caldissimi, con un mazzo di fiori in una mano e delle candele nell’altra. Tre candele: una per Radissav, una per Milena e una per mio padre. Le accendiamo e aspettiamo che il poco di vento che c’e’ le spenga. Io prego ovvero provo a pregare, lei no.

Poi tira fuori dalla borsa due bottigliette, una di acqua una di rakjia, l’acquavite locale. „Fa caldo e hanno sete“ (e qui entra in gioco l’acqua che viene versata sul fazzoletto di prato), „che brindino alla nostra salute e che stiano in salute“ (e la rakjia, anche questa versata sul fazzoletto di prato, serve a questo).

Dai tempi del paganesimo non e’ cambiato molto, anche per gli scettici e i razionalisti. Con la morte si convive e chi e’ morto non e’ diverso da noi: anche lui ha sete

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6 août 2013 2 06 /08 /août /2013 07:16

Etihad, compagnia di bandiera degli Emirati, acquisisce il 49% del capitale di JAT e la salva (il 51% e' nelle mani dello Stato serbo, ma a decidere e' Etihad). Ora JAT, la piu' antica compagnia aerea d'Europa, sara' Air Serbia.

Olympic Air, di proprieta' del gruppo privato Marfin e erede di Olympic Airways, sta per passare nelle mani della dinamica e competitiva Turkish Airlines. E sempre in Grecia, la stessa cosa potrebbe accadere a Agean, antitrust UE permettendo. Per inciso: Agean e' gia' alleata di Turkish in Star Alliance e Turkish con queste e altre acquisizioni, potrebbe strappare a Lufthansa il ruolo di capofila dell'alleanza.

Investimenti turchi e di fondi sovrani dei Paesi del Golfo in crescita in tutti i Balcani, perche' questi non sono casi isolati.

L'economia dei Balcani risollevata dagli investimenti dei vicini sud-orientali? Probabile. Di certo greci, serbi e altri della regione non hanno piu' motivi per mantenere atavici e incomprensibili complessi di superiorita' nei confronti dei vicini

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21 juillet 2013 7 21 /07 /juillet /2013 08:04

La ripeto, a costo di ripetere qualcosa che tanti hanno gia’ sentito. Una barzelletta che descrive con tutta la superficialita’ del caso i comportamenti di quella parte dei nuovi russi che ha scelto come modello quelli dei ricchi oligarchi, convinta che imitarli sia una specie di dovere o un passaporto per un ulteriore avanzamento sociale: Vladimir e Leonid si incontrano dalle parti di piazza di Spagna, anzi all’angolo fra la piazza e via Condotti; non si vedono da anni ma sono stati compagni di scuola e poi di universita’. Atmosfera calorosa mentre i due scoprono di portare la stessa identica cravatta. Vlada a Leonid: „quanto l’hai pagata?“ E quello: „centocinquanta dollari“. E Vladimir, di rimando: „ti hanno fregato, io l’ho pagata duecento“.

Ogni giorno, all’aeroporto internazionale di Salonicco, una quindicina di charter deposita russi provenienti da ogni spicchio dello sterminato Paese, citta’ siberiane incluse, e altrettanti cherter ne ripartono per riportarne alla stazione di partenza. Non sono come Vladimir e Leonid, ma sono comunque russi. E sono tantissimi. Nel gruppo spiccano anziane babe spaesate perche’ non capiscono gli annunci degli altoparlanti, coppie sulla trentina, lui con pronunciata pancia lei con cosce cellulitiche, bambini impegnati ad attentare alla vita degli altri passeggeri lanciando macchinine fra i piedi. Vanno e vengono dalla Calcidica. Il sogno eterno degli zar e poi dei primi segretari del partito comunista, quello della Russia che conquista uno sbocco marittimo nel caldo Mediterraneo, si sta materializzando finalmente, anche se in un modo non previsto dagli strateghi del Cremlino. Insomma, tutti al mare, e non sul Mar Nero, ma in un mare caldo.

Dicevo che non sono come Vladimir e Leonid. Non possono permettersi comportamenti altrettanto affluenti, ma anche loro si sentono in dovere di dimostrare che hanno in tasca quanto serve per provare che vengono da un grande Paese, e che sono abbastanza ricchi. Affollano i negozietti dove, non a buon mercato, viene proposto il quasi-peggio del made in Greece (non siamo a Saint Tropez e non ci sono commerci di lusso). Affollano le trappole per turisti con i menu esposti all’esterno, con traduzione in russo e caso mai non bastasse a spiegare che cosa ci si puo’ trovare fotografie di souvlaki e di spaghetti. Negli stessi posti si aggirano altri turisti, di altri Paesi, ma questi ultimi guardano i prezzi e vanno via, o al massimo entrano e scelgono quello che meno alleggerisce il portafoglio. Immagini da una Calcidica che a dispetto dell’unicita’ della propria bellezza non ha ancora deciso se convenga di piu’ avere pochi turisti che spendono molto o molti turisti che spendono poco. Ai russi, babe spaesate comprese, il principio del value-for-money suona comunque ostico (in generale).

Le agenzie che li hanno portati qui propongono escursioni a pagamento, a prezzi che mi sembrano ragionevoli per non dire onesti. Destinazioni scelte fra quante possono épater le post-communiste, e cioe’ centri commerciali all’americana (come se non ce ne fossero di gia’ in Russia) e parchi di divertimenti. Saro’ distratto, ma finora non mi e’ ancora capitato di vedere proposte ai russi escursioni al Monte Santo. E dire che andarci e’ un’esperienza unica (riservata ai maschi purtroppo) e che uno dei monasteri e’ popolato (dico per dire, meglio direi sottopopolato) da monaci russi e che ai russi vi viene riservato un trattamento di favore, in cambio dello stesso obolo che viene con discrezione richiesto a tutti. Il comunismo, evidentemente, ha secolarizzato in profondo la societa’ russa che dopo la fine del comunismo in gran parte ha scelto come alternativa il consumismo e non la spiritualita’ cristiana o un equlibrato mix fra l’uno e l’altra. Chiedo spiegazioni a Dimitri che mi fa notare che quando la chiesa ortodossa offre di se’ un’immagine troppo sobria ne perde in credibilita’. „Siamo usciti da due decenni dalle ristrettezze dell’era sovietica e tutto quanto sa di rinunce lo scansiamo come fosse la lebbra. Sara’ una mia personale idea   - prosegue -   ma io mi fido di piu’ del pope che gira in SUV che di chi finisce a fare il monaco a Monte Santo“

La navetta Russia-Grecia e viceversa prosegue per quasi tutta la notte. Scambio di battute fra me e addetti alla security (il giorno dopo). Eleni si lamenta perche’ si sente surchargée, Giorgos no. „Ci salveranno i russi“, dice scandendo le parole. „Come duecento anni fa, quando ci aiutarono a liberarci dal dominio degli ottomani. Agli occidentali della Grecia non importa molto. In definitiva, per loro e’ solo un posto dove andare per abbronzarsi, ma almeno la smettano con la storia della Grecia culla della civilta’ europea, che cosa ne sanno loro della Grecia, e della civilta’ europea?“
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30 juin 2013 7 30 /06 /juin /2013 07:17

Personalmente non credo in (presunte) virtu’ salvifiche della domanda interna nell’uscita dalla recessione in Paesi come Italia e Grecia. Credo pero’ anch’io che il contributo che puo’ dare sia tutt’altro che residuale.  Grazie anche a  quella componente rappresentata dai consumi. Mi domando allora che senso abbia, per esempio, che in Grecia i negozi siano chiusi oltre che per l’intera domenica per tre pomeriggi nell’arco della settimana, e che in Italia  -  settore della grande distribuzione escluso -    la situazione sia appena diversa. Strano modo di incoraggiare i consumi questo: negozi chiusi proprio quando la gente ha piu’ tempo per comprare

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16 juin 2013 7 16 /06 /juin /2013 08:19

Siamo, noi italiani, fra i popoli meno versati nello studio e nell’uso di lingue straniere. A cominciare dall’inglese. Eppure usiamo correntemente acronimi, singole parole e espressioni intere in inglese, anche quando non sarebbe affatto necessario, e anche quando in inglese non hanno senso alcuno, ovvero quando ne hanno uno diverso.

Cominciamo con gli acronimi. Per esempio, l’Organizzazione per l’attuazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ovvero l’organizzazione dell’alleanza militare fra i Paesi delle due sponde settentrionali dell’oceano, e’ richiamata in italiano con l’oscuro acronimo NATO. NATO sta per North Atlantic Treaty Organization, acronimo che funziona benissimo in inglese dunque, ma non in italiano. Negli altri due grandi Paesi latini che sono membri dell’alleanza, l’acronimo correttamente usato e’ invece OTAN.

E passiamo a come chiamiamo quello strumento di uso corrente che serve per scrivere, far di conto, leggere e altre cose che chiamiamo in italiano computer. Il suo successo e’ dovuto al fatto che permette di fare queste diverse cose con ordine, e cioe’ archiviando testi, tabelle, immagini e altro in separate cartelle (i „faldoni“ del linguaggio burocratico, che ormai chiamiamo folders), per poterli riutilizzare in parte o interamente quando e’ necessario. Ordine dunque, e per risparmiare tempo e lavoro. Molto chiaro ai francesi per esempio, che non a caso lo chiamano ordinateur, mentre a noi evidentemente altrettanto chiaro non e’, visto che non lo chiamiamo ordinatore.

Il ’cervello’ dell’ordinatore, e cioe’ quelle componenti che permettono all’ordinatore inteso come macchina di funzionare come, per l’appunto, macchina che mette le cose in ordine, e’ chiamato dagli anglosassoni software. Termine che in una lingua latina non rende affatto l’idea (e forse, io credo, neppure in inglese). I francesi lo chiamano logiciel, insomma strumento della logica. Chiaro.

„Project Financing“ e’ un’espressione molto usata in italiano. In inglese significa quello che la traduzione letterale suggerisce: „finanziamento di un progetto“. In Italia si usa invece per indicare un patto fra un concedente (lo Stato, una Regione, un Comune) e un concessionario (privato), secondo cui il secondo si impegna a realizzare un’opera di utilita’ pubblica a costo zero per il primo, in cambio di alcuni vantaggi definiti in un contratto e limitati nel tempo. In inglese si parlerebbe piu’ opportunamente di PPP (Public Private Partnership).

E veniamo alla popolarissima espressione Welfare State, per lo piu’ abbreviata in solo „welfare“ (nella storia della nostra Repubblica abbiamo anche avuto il caso di un ministero per gli affari sociali ridenominato ministero per il welfare). Inventato dagli scandinavi e poi passato tale e quale nel Regno Unito laburista (dal governo Attlee in poi) il Welfare State e’ un modello di Stato dove lo Stato e altre amministrazioni pubbliche (regionali e locali) si occupano dell’assistenza ai cittadini dalla culla alla tomba (istruzione, cure mediche, pensione). Lo Stato eroga servizi finanziati con le entrate fiscali, e i singoli cittadini non li pagano (o, piu’ correttamente, non li pagano direttamente). I francesi lo rendono con l’espressione chiaramente comprensibile di état providence (Stato Provvidenza). Noi italiani no, usiamo l’espressione anglosassone. Per confonderci le idee, per pura esterofilia oppure ancora per malcelare dietro un’espressione non immediatamente comprensibile quello che e’, e cioe’ un meccanismo di redistribuzione, insomma una cosa ’socialcomunista’?

Potrei segnalare centinaia di altri casi (mi trattengo qui di fare l’esempio dell’uso stravagante della parola ’testimonial’ in italiano). Ma qui sto scrivendo un messaggio per un mio blog, non un saggio.

Prossima puntata: rassegna di termini inglesi di origine latina che ne tradiscono il senso originario. Cosi’ giochiamo a armi pari, una fesseria la dico io e una tu
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9 juin 2013 7 09 /06 /juin /2013 10:23

Fine settimana da amici. Sistemazione men che spartana in una costruzione pomposamente chiamata "la nostra casa in campagna", in mezzo a cinque ettari a olivi, mandorli e viti. Mare a cinquecento metri. Notte passata a combattere contro zanzare resistenti a qualsiasi dispositivo anti-zanzara (che invece fa male agli umani). Mattinata su Internet, con finestre aperte per fare entrare l'odore del mare , il vento e i suoni di una radio lontana. Al cancello arriva una comitiva di turisti che chiede dove puo' trovare un posto per dormire e uno per mangiare per una settimana. Pelli bianche ma gia' attaccate dal sole greco, con il quale noi mediterranei non scherziamo, gli altri europei invece si' (le rogne se le vanno a cercare). Mentre tutti gli altri dormono (e sono le undici e mezzo del mattino), li indirizzo al posto giusto e raccolgo olive nere in salamoia, formaggio fresco, pomodori, tre fettone di anguria precoce che gli consegno sistemati in un piatto di plastica. Abbiamo bevuto e ballato non poco ier sera, spendendo quaranta euro (in venti), per questo gli altri faticano a svegliarsi. Intanto la radio riferisce di inondazioni in Europa Centrale e di un Danubio abbondantemente sopra il livello di guardia mentre qui il sole punge e quando ci sono le nuvole la pioggia arriva, si spande per un cinque minuti e poi se ne va.

Sto pensando di prenderli in contropiede gli altri. Finora nessuno e' sveglio, e quindi nessuno cucina. E' arrivato dunque il momento per attuare il mio colpo di Stato. Comincio a tagliare le cipolle per preparare il sughetto che usero' per gli spaghettoni...

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25 mai 2013 6 25 /05 /mai /2013 07:12

Dal confine fra Norvegia e Russia fino a Istanbul (che si scrive con la 'n', non con la 'm'): un viaggio che avrei sempre voluto fare e che finora ho fatto solo a spizzichi e bocconi. Attraverso l'Europa dell'Est che poi invece, almeno geograficamente parlando, e' l'Europa davvero Centrale, a meta' strada fra l'Atlantico e gli Urali. Attraverso lande con paesaggi naturali e architetture create dall'uomo straordinariamente belli e soprattutto occasione di incontri con donne e uomini con grande cuore e anima. Per ascoltare storie di un passato spesso piu' che drammatico, di un presente difficile (la sempre incompiuta 'transizione'), di un futuro molto promettente per certuni e invece preoccupante per altri. Per farsi passare ogni voglia di viaggiare attraverso l'Ovest del Continente, e soprattutto attraverso il Nord-Ovest. A guidare e'  un italiano mitteleuropeo che non so ancora se definire come viaggiatore che fa lo scrittore o come scrittore che fa il viaggiatore. 

Per una volta dunque mi permetto di segnalare e raccomandare un libro, Trans Europa Express, di Paolo Rumiz. Da Feltrinelli.

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19 mai 2013 7 19 /05 /mai /2013 07:20

Due newsmagazines francesi, il conservatore Le Point e il progressista Nouvel Observateur, meglio noto come NouvelObs, nei loro numeri dell’ultima settimana di Aprile si lanciavano in paragoni fra l’epoca in cui viviamo e epoche precedenti. Le Point accosta i nostri tempi a quelli della Francia pre-rivoluzione del 1789, il NouvelObs agli anni Trenta. Mi convince di piu’ l’accostamento fatto dal NouvelObs: abbiamo molti degli ingredienti per una riproduzione della situazione anni Trenta: crisi economica piu’ disoccupazione di massa piu’ scandali che non lambiscono ma coinvolgono in pieno la classe politica piu’ larghi settori della societa’ in preda alla rabbia piu’ emergere di movimenti populisti piu’ indicazione di un caprio espiatorio: gli ebrei allora, i Rom e i musulmani oggi. Non e’ certo questo il mondo che volevo, ne’ per me ne’ per mia figlia

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