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15 décembre 2012 6 15 /12 /décembre /2012 13:28

Eduardo e’ di Valparaiso, Cile. Indossa con disinvoltura anche il cognome di sua madre, inconfondibilmente celtico. Ci siamo conosciuti in un seminario internazionale a porte chiuse in cui si discuteva di policies che favorissero la mobilita’ sociale ascensionale attraverso l’istruzione. Non sono mai stato in Cile, ma mi fa piacere sentire Eduardo orgoglioso dei successi del suo Paese in materia di quote di popolazione che accede all’istruzione universitaria e ne consegue i relativi diplomi. Mi diverto pero’ a provocarlo su un tema: basta la crescita di scolarizzati nell’istruzione terziaria e di laureati per ridurre il numero dei cretini?

A guardare le statistiche internazionali, la lotta all’ignoranza sta marcando da alcuni decenni risultati piu’ che incoraggianti a scala mondiale.  Ma se la lotta all’ignoranza ha successo, quella alla stupidita’ e’ impresa piu’ difficile da compiere, io penso. La prima e’ relativamente semplice, e puo’ essere condotta efficacemente anche in Paesi che dispongano di budget limitati per l’istruzione, quella contro la stupidita’ non lo e’ altrettanto. Il punto e’ che, secondo me, una cosa sono gli ignoranti un’altra gli stupidi. E la stupidita’ si rivela fenomeno trasversale, che colpisce letterati e illetterati, persone con scolarizzazione universitaria come persone non scolarizzate.

Un ignorante e’ persona che ha difficolta’ a fare scelte e prendere decisioni perche’ sconta un deficit di informazioni e conseguentemente di chiavi per interpretarne il significato e le implicazioni. Ha a disposizione una gamma limitata di scelte, e per questo tende a compiere scelte sbagliate. Il gap di informazioni e di strumenti interpretativi di cui soffre puo’ pero’ essere colmato e la gamma di scelte a sua disposizione conseguentemente ampliata. Il che implica che gli sara’ piu’ difficile compiere scelte sbagliate. Lo stupido invece, anche quando abbia a disposizione una gamma ampia di scelte e di strumenti per interpretare la realta’, tende sempre a optare per  scelte stupide, nel senso di dannose non solo per gli altri ma anche e soprattutto per se stesso. Hanno inventato strategie e policies contro l’ignoranza, ma non ne hanno inventate di altrettanto efficaci contro la stupidita’. E cosi’ la stupidita’ resta un male ancora diffuso, che minaccia la convivenza civile oltre a chi ne e’ vittima.

Eduardo e io ci consoliamo. Sappiamo di avere diritto a stare nel girone degli ignoranti. Ma abbiamo paura di finire in quello degli stupidi. Basterebbe una momentanea perdita di controllo del nostro io per finirvici

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12 décembre 2012 3 12 /12 /décembre /2012 11:40

E’ nevicato molto in questi giorni nel Nord dell’Europa SudOrientale. Piu’ di cinquanta centimetri di neve sono rimasti a terra, in soli due giorni. Piu’ dell’anno scorso, come ai bei tempi di una volta, lo ricordano i vecchi che puntualmente ti raccontano di nevicate che duravano pochi giorni ma lasciavano il segno per quasi tutto l’inverno, fino alla nevicata successiva. E ti raccontano di come nelle case si viveva ai tempi delle grandi tempeste, con le dispense piene di conserve di tutti i tipi fatte in casa in autunno e delle bevute di acquavite distillata in casa che aiutavano a superare il freddo insieme alle trapunte prese dal letto e indossate per quasi tutto il giorno. Questa volta la macchina della protezione civile       - cosi’ la chiameremmo noi in Italia -     solitamente efficiente e tempestiva negli interventi, ha funzionato peggio di altre precedenti, fino al punto che molti villaggi si sono trovati isolati. Specialmente nel Banato, serbo e anche romeno. Florin, di lingua romena ma cittadino serbo di un villaggio vicino Alibunar, mi telefona: „scusami Alex, ma stavolta siamo bloccati e non possiamo vederci per parlare di quel progetto che sai“. Mai successo negli ultimi sette anni. Intanto, un editto che risale ai tempi di Maria Teresa, mi dicono, e che tutt’ora resta in vigore, stabilisce che i proprietari di case devono garantire la pulizia dello spazio fra la casa e la carreggiata, per ragioni di decoro e di sicurezza. Editto rispettato, ma la spalatura della neve, in tempi di tempeste e di nevicate persistenti, e’ una specie di fatica di Sisifo. Hai appena spalato che ricomincia a nevicare. Servirebbe del sale industriale, per garantire che nelle notti senza nevicate e con il cielo sereno la neve non si trasformi in ghiaccio insidioso per i passanti e anche per sciogliere sull’istante la neve incombente. Niente da fare, questo sale non e’ in vendita. Se ne puo’ fare al massimo richiesta al consiglio di quartiere. Operazione burocratica e dall’esito non garantito, almeno se in questa ci si imbarcano singoli individui. A un centinaio di chilometri, al di la’ della frontiera, in Ungheria, il sale industriale antineve e antighiaccio si vende invece in ogni stazione di servizio, in confezioni ben sigillate, e a un prezzo abbordabile anche da parte di pensionati a 200 euro al mese.

Questa e’ invece una bella notizia. Riapre il valico frontaliero per traffico motorizzato di Jaša Tomić, fra la Serbia NordOrientale e la Romania. La paranoia di Ceausescu aveva portato a chiudere un gran numero di varchi frontalieri, a riportare la situazione allo status quo ante ci sono voluti altri due decenni, e una montagna di carte a seguito di petizioni della gente di qua e di la’ della frontiera. Non li ho ancora rivisti gli amici della comunita’ di mille anime del villaggio di Jaša Tomić, che sette anni fa mi avevano ricevuto nella modesta sede del loro consiglio parlandomi del problema di una frontiera che si poteva superare soloa piedi o in bicicletta. Timișoara, ovvero Temišvar in serbo e Temesvar in ungherese, era a poche decine di chilometri, ma la strada e la ferrovia erano state interrotte. Ora non e’ piu’ cosi’, e il tragitto fra Novi Sad e Timisoara richiede un’ora di viaggio in meno, con un risparmio di cinquanta chilometri. La comunita’ locale, mille anime, una dozzina di etnie e una decina di confessioni che da sempre convivono senza problemi, riacquista fiducia in se stessa. Donne e uomini di Jaša Tomić non sono piu’ confinati in un angolo remoto, ma vengono a trovarsi lungo una direttrice di traffico internazionale, i romeni verranno a fare acquisti per comprare quello che in Serbia costa meno che in Romania, e lo stesso accadra’ dall’altra parte. Come sempre, piu’ permeabili sono le frontiere piu’ si sviluppano gli scambi, agenti di pace e di prosperita’. E questo nell’attesa che anche qui quell’anacronismo che sono le frontiere sparisca. Ci vorra’ forse qualche decennio, ma la marcia verso la libera circolazione di persone, merci e idee e’ un processo ineluttabile.

La stampa di qui riporta la notizia che il Parlamento di Budapest avrebbe passato una legge secondo cui gli investitori stranieri, siano essi persone fisiche o persone giuridiche, per ottenere una sorta di permesso a effettuare investimenti diretti in Ungheria sono tenuti ad acquistare titoli del debito pubblico ungherese per un controvalore almeno pari a 250.000 euro. Leggo la notizia, ma stento a credere che sia vera, a dispetto del fatto di averla letta su una fonte affidabile. Chiedo chiarimenti ai miei numerosi amici e colleghi che ho in Ungheria. Se rispondesse a verita’ il relativo provvedimento rappresenterebbe una barriera all’afflusso di investimenti diretti esteri, cosa di cui il Paese ha sempre fortissimo bisogno. Non solo: nel provvedimento, che pero’ non ho potuto ancora leggere nel dettaglio, intravvedo un profilo di contrasto con i Trattati europei e con non poche direttive. Spero che la notizia non sia vera, o che ne sia stato amplificato o inconsapevolmente distorto il senso. Se invece vera fosse, coerenza con i Trattati e le direttive a parte, rapppresenterebbe un’inversione a U nella politica economica ungherese, quella politica economica che aveva portato il Paese ad avere lo stock di Investimenti Diretti Esteri pro-capite piu’ alto fra i diversi Paesi ex-oltrecortina, alla base del miracolo economico che si ebbe dalla seconda meta’ degli anni Novanta del secolo scorso alla meta’ del primo decennio del nuovo secolo.

Novi Sad, Újvidék in ungherese e Neusatz in tedesco, e’ la seconda citta’ della Serbia, a ottanta chilometri a Nord di Belgrado, sulla direttrice Belgrado-Budapest. Come tutte le grandi citta’ dell’impero austro-ungherese, ospitava una comunita’ ebraica askhenazita rispettata, numerosa e prospera. Ai tempi della belle époque su impulso proprio della comunita’ askhenazi Novi Sad si diede infrastrutture moderne (fu una delle prime citta’ europee ad avere l’illuminazione pubblica alimentata con la corrente elettrica) e conobbe un boom edilizio straordinario. Si riconoscono ancora oggi i palazzi borghesi in stile eclettico (la cosiddetta „secessione“ unbgherese), disegnati dai grandi maestri architetti di Budapest e messi in opera da una generazione di artisti-scalpellini apprezzatissimi da Vienna a Istanbul. Era la citta’ di Mileva Marić, moglie di Einstein e co-autrice delle ricerche che portarono alla formulazione della teoria della relativita’. Durante la seconda guerra mondiale la comunita’ ebraica locale fu decimata dalla violenza e dall’odio delle croci frecciate, che uccisero gente di tutte le eta’ gettandone i corpi nel fiume, insieme a quelli di serbi e di rom. Nei decenni che seguirono alla guerra, la comunita’ si ridusse ancora di piu’: i piu’ emigrarono negli Stati Uniti, in Canada e in Israele. A Novi Sad c’e’ una delle piu’ grandi sinagoghe d’Europa, e anche fra le piu’ belle, sempre in stile eclettico belle époque. Ci vado qualche volta, e sempre ammiro la ricchezza degli arredi. Ora la gestisce il comune, e’ un eccellente luogo per concerti grazie a un’acustica senza pari, ma non si puo’ fare a meno di riconoscerne il carattere sacro, calzando in testa la kippah. Ora siamo al tempo della hanukkah, la festa delle luci nel calendario ebraico. Venerdi in Sinagoga suona l’ensemble klezmer di Salisburgo. Un appuntamento da non perdere, perche’ la musica klezmer non e’ solo patrimonio culturale delle comunita’ ebraiche askhenazi, ma di tutta l’umanita’

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6 décembre 2012 4 06 /12 /décembre /2012 11:20

Oggi, secondo il calendario gregoriano, e' la festa di San Nicola. Il santo piu' cosmopolita della tradizione ortodossa come di quella cattolica, il santo della mia citta', Bari. Un augurio dunque prima di tutto a Bari. Perche' smetta gli abiti di una citta' di provincia e torni ad essere cosmopolita quanto lo e' stata negli anni piu’ prosperi della sua storia. Sogno una Bari dove per le strade ci sia un intreccio di lingue e di odori e colori diversi e verso il cielo si proiettino, accanto ai campanili della chiese cattoliche, le cupole di chiese ortodosse, minareti e una sinagoga. Felice festa di San Nicola per tutti, e non solo per i baresi

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19 novembre 2012 1 19 /11 /novembre /2012 12:54

Mettiamo che domani vostro figlio o vostra figlia vi dica: „me ne voglio andare, via da questa citta’ e da questo Paese“; come reagireste?

E se accettaste, vi sentireste di dargli/darle qualche consiglio? E se si’, che consigli?

C’e’ qualche posto dove non accettereste mai che vostro figlio o vostra figlia andasse e qualche posto dove vi farebbe invece piacere che andasse? E quali sarebbero?

E voi? Supponiamo per esempio che siate arrivati alla pensione, e che dato che il rapporto di lavoro che avevate si e’ chiuso e che disponete di una liquidazione, ci andreste mai a vivere in un posto diverso da quello dove avete vissuto? E se si’, come vi piacerebbe fosse il posto dove andare a vivere? Di che cosa avreste timore? Che cosa invece vi motiverebbe di piu’? Che cosa di quanto vi lasciate alle spalle vi macherebbe di piu’? Che cosa sareste invece lieti di esservi laciati alle spalle?

Questo non e’ un sondaggio, ma un modo per capire se e come chi mi legge si pone la questione della mobilita’ territoriale, propria e dei propri figli. E capire le resistenze e le aspettative che al cambiare vita sono sottese. Discussione libera dunque, non domande con scelta fra risposte chiuse e caselle da barrare

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3 novembre 2012 6 03 /11 /novembre /2012 13:43

Deficit di bilancio al 4,4% del PIL, debito pubblico al 128,3% del PIL. Incerta (uso un eufemismo) separazione fra legislativo, esecutivo e giudiziario, pratiche nepotistiche estese (e legali), aziende pubbliche vendute “agli amici”, finanzieri che coprono debiti personali con i soldi di banche di cui sono consiglieri di amministrazione, forti squilibri nella distribuzione del reddito, 9 cittadini su 10 che non si fidano dei politici ... “Storie ordinarie da qualche Paese dell’Europa Meridionale o Orientale”, penserete. E invece no, si tratta di storie che vengono da un Paese attraversato dal Circolo Polare Artico, nell’angolo piu’ Nordoccidentale d’Europa, non lontano dall’America del Nord. “Non vogliamo essere paragonati agli altri Paesi del NordEuropa, bloccati dal welfare; il nostro e’ un capitalismo all’americana”, sentenziava con piu’ o meno queste parole il Presidente della Camera di Commercio islandese (l’equivalente della nostra Confindustria) in un rapporto distribuito agli associati nel 2006.

Per saperne di piu’ leggere tutta la storia su Le Monde Diplomatique online

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1 novembre 2012 4 01 /11 /novembre /2012 20:22

Lungo l’intero arco del proprio ciclo di vita le imprese devono misurarsi con il quadro normativo (leggi e regolamenti) del Paese in cui operano. Doing Business, un progetto della Banca Mondiale, misura ogni anno e per ciascuno dei  Paesi considerati (per il rapporto 2013, uscito in questi giorni, 185 in totale) procedure, tempi e costi per l’avvio di un’impresa, per ottenere permessi di costruzione, per ottenere l’allacciamento alla rete elettrica e per registrare la proprieta’, facilita’ e trasparenza del credito, livello di protezione degli investitori, numero di scadenze per il pagamento delle tasse e di ore da spenderci per farvi fronte nonche’ pressione fiscale totale (in percentuale sui profitti), norme e procedure per il commercio internazionale, procedure tempi e costi per il rispetto dei contratti e dei termini di pagamento, tempi e costi per rientrare in possesso di crediti non pagati. Lo fa attraverso ricerche empiriche basate sullo studio delle normative e verificate attraverso il confronto con giuristi, consulenti d’azienda, tributaristi. A ciascuno di questi fattori corrisponde un indice. In totale, dieci indici, calcolati per ciascuno dei Paesi considerati. Sulla base di questi  viene eleborato un indice sintetico che esprime la posizione di ciascun Paese nella classifica generale. Nella parte piu’ alta della classifica si trovano dunque i Paesi dove e’ piu’ facile fare business, nella piu’ bassa quelli dove e’ piu’ difficile. Sottolineo: Doing Business prende in considerazione i fattori di tipo normativo che condizionano la vita di un’impresa, non quelli di altra natura, come ad esempio la prossimita’/lontananza a/da i mercati, le infrastrutture e cosi’ via.  L’indice offre pero’ agli investitori una misura, sia pure parziale, di quanto sia o meno conveniente investire in questo o quel Paese. Parziale, ma di tutt’altro che marginale importanza. E’ utilissimo non solo guardare alla posizione in classifica di un Paese nell’anno x, ma anche alle variazuioni di posizione che annualmente Doing Business evidenzia.

Nei Balcani Occidentali, La Macedonia e’ di gran lunga il Paese con l’indice sintetico migliore: il Rapporto 2013 la vede collocata al 23.o posto nella classifica mondiale, ben davanti ad esempio a Austria (29.a), Francia (33.a) e naturalmente Italia (73.a.) e Grecia (78.a) e di poche posizioni dietro la Germania (20.a). Per aprire un’impresa le procedure da seguire sono solo 2 e si esauriscono in 2 giorni, cosa che fa conquistare al Paese una posizione di eccellenza nella classifica internazionale relativa a questo specifico indice (5.o posto).

Nella classifica dell’indice sintetico buona anche la posizione del Montenegro (51.o), mentre troviamo all’84.o la Croazia, all’85.o l’Albania, all’86.o la Serbia. Il Kosovo e’ alla 96.a posizione, mentre la Bosnia Erzegovina alla 128.a

I progressi di alcuni Paesi realizzati in un solo anno sono pero’ straordinari: la Serbia per esempio e’ fra i 10 migliori reformers dell’anno a scala mondiale, avendo realizzato riforme importanti nel campo dell’avvio delle attivita’, nella garanzia del rispetto dei contratti e nei tempi e costi per la risoluzione delle insolvenze. Progressi notevoli anche in Croazia e nella stessa Macedonia, fra i primi 20 top reformers.

Risultati molto importanti, che poggiano da un lato sull’impegno richiesto dall’Unione Europea di adeguamento all’Acquis Comunitario con target annuali di riforme da realizzare annualmente verificati, dall’altro sulla centralita’ che obiettivi di attrazione di investimenti diretti esteri hanno nelle strategie di sviluppo economico dei Paesi della regione (un quadro legislativo e regolamentare semplice e trasparente influenza in modo fortemente positivo  la dinamica degli IDE).

Quasi tutti Paesi della regione , inclusi i piu’ virtuosi, hanno in comune passi significativi da fare in avanti in materia di velocita’ nel rilascio dei permessi di costruzione, registrazione della proprieta’ e soprattutto nell’enforcement dei contratti. In Croazia, dove la riforma piu’ importante ha riguardato la semplificazione del sistema di pagamento delle tasse,  una issue critica specifica e’ quella della semplificazione della documentazione necessaria per il commercio con l’estero.  Situazione opposta in Serbia, dove la complessita’ del sistema di pagamento delle tasse resta il terreno piu’ critico

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28 octobre 2012 7 28 /10 /octobre /2012 12:13

Lo spezzettamento della Jugoslavia aveva lasciato le aziende dei diversi Paesi dell’area orfane di gran parte del proprio mercato. La circolazione di merci e servizi si scontrava contro gli ostacoli di barriere tariffarie e non tariffarie, dogane si ergevano laddove non esistevano piu’ dalla fine della prima guerra mondiale. Un problema per tutti, ma all’apparenza difficile da risolvere in tempi brevissimi nel nuovo scenario disegnato dalla fine delle guerre balcaniche della prima meta’ degli anni Novanta. Oggi la  Jugoslavia continua a non esistere, ma beni e servizi prodotti in Croazia entrano in Serbia, beni e servizi prodotti in Serbia entrano sul mercato croato, e cosi’ accade nell’interscambio fra tutti gli altri Paesi. Marchi noti da Zagabria a Skoplije tornano sul loro ‘naturale’ mercato e la competizione si ristabilisce a scala ‘regionale’, al di la’ dei confini delle nuove nazioni. C’e’ chi resiste, chi si allarga, chi deve uscire fuori dal gioco, ma l’arena e’ tornata ad essere piu’ grande.

Tutto questo e’ possibile perche’ nel 2006 i Paesi della regione hanno sottoscritto il Central European Free Trade Agreement (CEFTA), con l’obiettivo di ristabilire un’area di libero scambio nei Balcani Occidentali. La somiglianza fra le diverse lingue, anche se intaccata dal tentativo di sostituire parole un tempo comuni con termini nazionali, fa il resto. Quando ci si capisce senza bisogno di intermediari, concludere transazioni d’affari e’ piu’ facile. Ci sono poi le reti di relazioni interpersonali che funzionavano per decenni, e su queste poggia quella reciproca fiducia che e’ un capitale di importanza cruciale negli scambi internazionali.

Nel complesso l’area interessata dall’accordo e’ di dimensioni abbastanza contenute, meno di trenta milioni di consumatori potenziali. Ma il peso dell’interscambio intra-CEFTA e’ tutt’altro che trascurabile. Il 58% delle esportazioni agricole dei Paesi della regione va verso altri Paesi della regione, cosi’ come fra Paesi della regione  si muove il 28% delle importazioni agricole. Per i prodotti non agricoli l’export intra-regionale raggiunge il 22%, l’import il 10%. 

Dell’area di libero scambio beneficiano sia le imprese nazionali sia quelle a capitale estero, che non hanno bisogno di installare piattaforme logistiche in ciascuno dei Paesi della regione, ma possono distribuire i propri prodotti a partire da piattaforme localizzate nei punti dove si possono raggiungere tutti  i clienti con maggiore efficienza economica.

Non esiste piu’ la Jugoslavia, ma a partire dall’accordo di libero scambio un mercato comune post-jugoslavo sta nascendo. Piu’ grande di quello jugoslavo: all’accordo hanno aderito anche Albania e Moldavia.

L’effetto CEFTA e’ immediatamente percepibile. Basta leggere sul verso delle confeszioni di prodotti di largo consumo, alimentari e non, prodotti da aziende locali o da stabilimenti di aziende a capitale estero: una lunga lista informa, nella lingua di ciascun Paese, sul contenuto e le proprieta’ del prodotto.  “Leggere quelle scritte in tante lingue mi rilassa, mi fa pensare che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle un decennio in cui abbiamo perso tempo” mi dice Dragan, sociologo dell’economia che e’ stato visiting professor in un’universita’ anglosassone e per la sua eta’ testimone vivente di tanti cambiamenti. “Aspettando il giorno in cui tutti entreremo nell’Unione e nel mercato unico e la gamma delle scelte a disposizione dei consumatori si ampliera’ davvero. Con la CEFTA abbiamo ricostruito, e’ uno stadio di passaggio. Con l’ingresso nell’Unione e nel mercato unico avremo stimoli e vincoli che ci serviranno a fare di meglio. Quando i nostri prodotti, ad esempio quelli alimentari, saranno una presenza normale nelle case di Parigi o di Stoccolma   - aggiunge -  avro’ la prova che ce l’abbiamo fatta. C’e’ chi dice che questi miei sono sogni, io invece ho fiducia in noi. Abbiamo superato prove molto difficili, questa che e’ all’orizzonte non mi spaventa, abbiamo le risorse e gli uomini per affrontarla. E adesso prendiamoci una tazza di caffe’. Con calma, il caffe’ si sorseggia, non si inghiotte, questa e’ una delle cose che tutti noi balcanici abbiamo da insegnare agli altri europei”.

 

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27 octobre 2012 6 27 /10 /octobre /2012 12:28

L’organizzazione nazionale dei consumatori della Serbia chiama i cittadini a aderire a uno sciopero dei consumatori che durera’ per tutta la settimana, a partire da Martedi’ 30 Ottobre. La protesta e’ contro gli aumenti dei prezzi dei prodotti venduti nei punti di vendita della grande distribuzione e della distribuzione organizzata. I consumatori sono invitati a non fare acquisti Martedi’ 30 nelle superfici a marchio „Maxi“ e „Tempo“, Mercoledi’ 31 in quelle della „Idea“ e Giovedi’ 1 Novembre in quelle a marchio „Mercator“ e „Roda“. E’ un’iniziativa senza precedenti in Serbia e in tutta l’Europa Orientale, e forse anche in Europa Occidentale. Per la prima volta obiettivo della protesta e’ determinare una caduta della domanda con conseguenze punitive sui ricavi della distribuzione. Uno dei tanti segnali di come l’Europa Orientale stia cambiando e di come la societa’ prenda coscienza dei propri diritti e del proprio potere. Questa volta non si chiede l’intervento diretto dello Stato per il controllo dei prezzi, un meccanismo che ha prodotto effetti perversi (mercato nero), ma si lancia un segnale direttamente alla distribuzione: „i vostri ricavi (e i vostri profitti) dipendono dalle nostre scelte“. Staremo a vedere se e in che misura l’iniziativa avra’ successo. L’appello dell’organizzazione e’ stato ripreso dai media, ma a decidere il successo sara’ il passaparola, nelle strade, nei mercati, nelle chiacchiere fra amici e fra amiche al caffe’. Una reazione da societa’ adulta che non chiede aiuto a nessuno e che puo’ scoprirsi consapevole delle proprie forze

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24 octobre 2012 3 24 /10 /octobre /2012 14:50

Voci di corridoio riferiscono che Vuk Jeremić potrebbe rientrare fra quanti potrebbero succedere a Ban Ki- Moon nella posizione di Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Chi e’ Vuk Jeremić? Qual e’ il ruolo del Segretario Generale e quello degli altri organi? Il mantenimento di quali equilibri condiziona nella prassi il processo di scelta del Segretario Generale? Qualche risposta a queste domande puo’ aiutare a capire se i rumors, raccolti e ripresi anche da alcuni media dei Balcani Occidentali, hanno probabilita’ di essere confermati dai fatti.

Vuk Jeremić e’ nato nel 1975 ed e’ stato ministro degli esteri della Serbia. E’ membro del Partito Democratico, di orientamento europeista. Ha un curriculum di studi e di esperienze professionali di standing internazionale ed e’ stato eletto Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la 67esima sessione, inaugurata a Settembre di quest’anno. La sua candidatura a Presidente dell’Assemblea era stata proposta dal gruppo dei Paesi dell’Europa Orientale.

L’architettura della governance delle Nazioni Unite e’ simile a quella di una company. L’Assemblea Generale e’ un po’ come l’Assemblea dei Soci, il Consiglio di Sicurezza un po’ come un Consiglio d’Amministrazione, il Segretario Generale e’ piu’ o meno come un CEO. Il Consiglio ha cinque membri permanenti ciascuno con potere di veto sulle risoluzioni in discussione: cinque nazioni che in pratica detengono  una sorta di golden share. Il ruolo di contrappeso e di moderator fa si che il Segretario Generale non sia mai espressione di uno dei Paesi con potere di veto in Consiglio.

Il Segretario Generale e’ a capo di una struttura tecnica, il Segretariato Generale. Il principale potere del Segretario e’ di proporre all’attenzione dell’Assemblea e del Consiglio di Sicurezza le situazioni di crisi. E’ eletto dall’Assemblea e come tale deve la sua elezione al rispetto di una prassi di equilibrio fra i diversi gruppi geografici e soprattutto  le alleanze „regionali“. La sua candidatura e’ pero’ proposta dal Consiglio, e quindi sottomessa al potere di veto dei membri permanenti. In pratica, e’ il punto di equilibrio del sistema delle Nazioni Unite: non deve essere sgradito a nessuno dei membri  permanenti ma sul suo nome deve esserci larga convergenza in Assemblea Generale.  Quest’ultimo punto implica che non solo non puo’ essere diretta espressione di grandi potenze con potere di veto, ma neppure di blocchi che non siano mere aggregazioni geografiche ma blocchi coesi di interessi. Per esempio, e’ praticamente impossibile che l’Assemblea Generale elegga oggi Segretario una persona che venga da un Paese NATO o della Lega Araba. Il candidato ideale proviene dunque da un Paese piccolo, non allineato ma non troppo non allineato, non troppo West-oriented ma neppure troppo South o East-oriented. Le esperienze diplomatiche pregresse contano, ma le probabilita’ di elezione decrescono se ha fatto prova di quello che potrebbe sembrare eccessivo attivismo. Esiste poi una prassi di rotazione fra Continenti  o grandi aree geografiche.  Il terzultimo Segretario proveniva da un Paese del Medio Oriente,  il penultimo da un Paese africano, quello in carica da un Paese asiatico. Questa volta, quando scadra’ il secondo mandato di Ban Ki-Moon, potrebbe essere il turno di un europeo: non ci sono stati Segretari europei dal momento della scadenza del mandato di Kurt Waldheim (1981). Trovare candidati provenienti da Paesi europei non legati ad alleanze consolidate e’ pero’ difficile: Bielorussia e Ucraina per esempio sono troppo vicine alla Federazione Russa, quasi tutti gli altri sono membri della NATO o in orbita NATO. Neutrali come Svezia, Finlandia, Austria, Irlanda pur non essendo membri della NATO sono pero’ membri dell’Unione Europea, percepita da Paesi Terzi come un blocco di interessi. Cipro, membro dell’UE e neutrale, ospita pero’ la badse inglese di Akrotiri. La scelta si restringe anche considerando i tre Paesi del Caucaso, uno dei quali percepito come decisamente antirusso e un altro troppo filorusso.

E’ uno scenario che davvero potrebbe portare a pensare che le chances per Jeremić non siano remote. Ha esperienza nelle Nazioni Unite, ma tiene un profilo moderato. Viene da un Paese piccolo che non e’ ne’ nel club dei „ricchi“ ne’ in quello dei „poveri“. Viene da un Paese che in Europa e’ l’unico ne’ NATO ne’ in orbita NATO. Viene da un Paese che la Russia considera amico, ma con esperienza di governo in una coalizione vicina a valori occidentali. Viene da un Paese candidato a diventare membro dell’UE, ma non membro dell’UE.  Viene da un Paese che ha molti amici in Africa e in America Latina, oltre che nel Mediterraneo, sul cui teatro mantiene equidistanza fra Israele e i Paesi arabi. Un Paese anche amico della Cina (membro permanente del Consiglio e influente potenza, incluso in Africa), che ricambia l’amicizia con investimenti diretti. Posso anche aggiungere   - ma questa non so se sia una qualita’ o un punto di debolezza -    che e’ giovane, diplomatico fine ma anche con la schiena dura del lavoratore. Credo anche che troverebbe l’appoggio dei Paesi vicini in uno scenario come quello di oggi che non e’ piu’ quello degli anni Novanta

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22 octobre 2012 1 22 /10 /octobre /2012 18:21

Marco Proietti Mancini (uno dei miei amici piu' brillanti) ha scritto: "giusto per attizzare la lite. Stasera faccio il goulash con il cus cus". Io ho risposto: "Beh, stavolta stiamo parlando di una cosa che viene dalla pianura pannonica, mia patria d'adozione da undici anni. Allora, notazione preliminare: quello che gli italiani chiamano "gulyas", se di spezzatino a base di tagli poveri misti maiale e manzo si tratta, non si chiama cosi', ma pörkölt. Il gulyas e' un'altra cosa, normale brodo di tagli poveri di carne. Il pörkölt e' da stracuocere fino allo sfinimento delle carni con abbondantissima cipolla, qualche spicchio d'aglio, peperoni dolci, polvere di peperoni dolci e un po' di polvere di peperoni semidoolci. Su un paiolo appeso su fuoco di legna piuttosto lento. Purtroppo (e lo dico io, che sono un fondamentalista dell'extravergine) l'olio extravergine di oliva non ci va, non perche' cosi' dicono i dieci comandamenti ma perche' darebbe un odore inconsueto al tutto. Non trovo affatto blasfemo l'accoppiamento con il cuscus come proposto da Marco, perche' il pörkölt ama frequentare tutti i tipi di cereali. Pero', solo per fedelta' alla tradizione e per evitare bacchettate dalla mia compagna o da mia figlia, devo dire che i fondamentalisti lo accoppiano solo con la pasta fatta in casa (gnocchi ungheresi detti galuska o tagliatelle della Vojvodina o della Slavonia dette rezanci). In qualche modo. Il pörkölt lo possiamo considerare un parente dei ragu' alla napoletana (o del meno complesso ragu' alla barese) o dello stifadho di Corfu'. Pero' niente pomodoro e molto ma molto piu' cipolla, senza dimenticare l'aglio. Servire: in una fondina vanno deposti i rezanci o gli gnocchi ungheresi e poi il pörkölt va aggiunto sopra. C'e' un eccesso di colesterolo nel tutto, col risultato che quando lo mangiate vi puo’ venire una terribile nostalgia per due spaghetti al pomodoro fresco e basilico. (A me viene sempre). Indispensabile spargere tutto intorno alla fondina l'aneto, per colore e per sapore.

In ogni caso e' una cosa che si puo' preparare in molti Paesi senza scomodare materie prime di importazione. Solo che la carne in Pannonia e' molto migliore che altrove. Che si tratti di carne bovina o (soprattutto) suina i risultati sono sempre eccellenti

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Latitudini &Amp; Longitudini

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