E’ nevicato molto in questi giorni nel Nord dell’Europa SudOrientale. Piu’ di cinquanta centimetri di neve sono
rimasti a terra, in soli due giorni. Piu’ dell’anno scorso, come ai bei tempi di una volta, lo ricordano i vecchi che puntualmente ti raccontano di nevicate che duravano pochi giorni ma
lasciavano il segno per quasi tutto l’inverno, fino alla nevicata successiva. E ti raccontano di come nelle case si viveva ai tempi delle grandi tempeste, con le dispense piene di conserve di
tutti i tipi fatte in casa in autunno e delle bevute di acquavite distillata in casa che aiutavano a superare il freddo insieme alle trapunte prese dal letto e indossate per quasi tutto il
giorno. Questa volta la macchina della protezione civile - cosi’ la chiameremmo noi in Italia - solitamente efficiente e tempestiva
negli interventi, ha funzionato peggio di altre precedenti, fino al punto che molti villaggi si sono trovati isolati. Specialmente nel Banato, serbo e anche romeno. Florin, di lingua romena ma
cittadino serbo di un villaggio vicino Alibunar, mi telefona: „scusami Alex, ma stavolta siamo bloccati e non possiamo vederci per parlare di quel progetto che sai“. Mai successo negli ultimi
sette anni. Intanto, un editto che risale ai tempi di Maria Teresa, mi dicono, e che tutt’ora resta in vigore, stabilisce che i proprietari di case devono garantire la pulizia dello spazio fra la
casa e la carreggiata, per ragioni di decoro e di sicurezza. Editto rispettato, ma la spalatura della neve, in tempi di tempeste e di nevicate persistenti, e’ una specie di fatica di Sisifo. Hai
appena spalato che ricomincia a nevicare. Servirebbe del sale industriale, per garantire che nelle notti senza nevicate e con il cielo sereno la neve non si trasformi in ghiaccio insidioso per i
passanti e anche per sciogliere sull’istante la neve incombente. Niente da fare, questo sale non e’ in vendita. Se ne puo’ fare al massimo richiesta al consiglio di quartiere. Operazione
burocratica e dall’esito non garantito, almeno se in questa ci si imbarcano singoli individui. A un centinaio di chilometri, al di la’ della frontiera, in Ungheria, il sale industriale antineve e
antighiaccio si vende invece in ogni stazione di servizio, in confezioni ben sigillate, e a un prezzo abbordabile anche da parte di pensionati a 200 euro al mese.
Questa e’ invece una bella notizia. Riapre il valico frontaliero per traffico motorizzato di Jaša Tomić, fra la
Serbia NordOrientale e la Romania. La paranoia di Ceausescu aveva portato a chiudere un gran numero di varchi frontalieri, a riportare la situazione allo status quo ante ci sono voluti altri due
decenni, e una montagna di carte a seguito di petizioni della gente di qua e di la’ della frontiera. Non li ho ancora rivisti gli amici della comunita’ di mille anime del villaggio di Jaša Tomić,
che sette anni fa mi avevano ricevuto nella modesta sede del loro consiglio parlandomi del problema di una frontiera che si poteva superare soloa piedi o in bicicletta. Timișoara, ovvero Temišvar
in serbo e Temesvar in ungherese, era a poche decine di chilometri, ma la strada e la ferrovia erano state interrotte. Ora non e’ piu’ cosi’, e il tragitto fra Novi Sad e Timisoara richiede
un’ora di viaggio in meno, con un risparmio di cinquanta chilometri. La comunita’ locale, mille anime, una dozzina di etnie e una decina di confessioni che da sempre convivono senza problemi,
riacquista fiducia in se stessa. Donne e uomini di Jaša Tomić non sono piu’ confinati in un angolo remoto, ma vengono a trovarsi lungo una direttrice di traffico internazionale, i romeni verranno
a fare acquisti per comprare quello che in Serbia costa meno che in Romania, e lo stesso accadra’ dall’altra parte. Come sempre, piu’ permeabili sono le frontiere piu’ si sviluppano gli scambi,
agenti di pace e di prosperita’. E questo nell’attesa che anche qui quell’anacronismo che sono le frontiere sparisca. Ci vorra’ forse qualche decennio, ma la marcia verso la libera circolazione
di persone, merci e idee e’ un processo ineluttabile.
La stampa di qui riporta la notizia che il Parlamento di Budapest avrebbe passato una legge secondo cui gli
investitori stranieri, siano essi persone fisiche o persone giuridiche, per ottenere una sorta di permesso a effettuare investimenti diretti in Ungheria sono tenuti ad acquistare titoli del
debito pubblico ungherese per un controvalore almeno pari a 250.000 euro. Leggo la notizia, ma stento a credere che sia vera, a dispetto del fatto di averla letta su una fonte affidabile. Chiedo
chiarimenti ai miei numerosi amici e colleghi che ho in Ungheria. Se rispondesse a verita’ il relativo provvedimento rappresenterebbe una barriera all’afflusso di investimenti diretti esteri,
cosa di cui il Paese ha sempre fortissimo bisogno. Non solo: nel provvedimento, che pero’ non ho potuto ancora leggere nel dettaglio, intravvedo un profilo di contrasto con i Trattati europei e
con non poche direttive. Spero che la notizia non sia vera, o che ne sia stato amplificato o inconsapevolmente distorto il senso. Se invece vera fosse, coerenza con i Trattati e le direttive a
parte, rapppresenterebbe un’inversione a U nella politica economica ungherese, quella politica economica che aveva portato il Paese ad avere lo stock di Investimenti Diretti Esteri pro-capite
piu’ alto fra i diversi Paesi ex-oltrecortina, alla base del miracolo economico che si ebbe dalla seconda meta’ degli anni Novanta del secolo scorso alla meta’ del primo decennio del nuovo
secolo.
Novi Sad, Újvidék in ungherese e Neusatz in tedesco, e’ la seconda citta’ della Serbia, a ottanta chilometri a Nord
di Belgrado, sulla direttrice Belgrado-Budapest. Come tutte le grandi citta’ dell’impero austro-ungherese, ospitava una comunita’ ebraica askhenazita rispettata, numerosa e prospera. Ai tempi
della belle époque su impulso proprio della comunita’ askhenazi Novi Sad si diede infrastrutture moderne (fu una delle prime citta’ europee ad avere l’illuminazione pubblica alimentata con la
corrente elettrica) e conobbe un boom edilizio straordinario. Si riconoscono ancora oggi i palazzi borghesi in stile eclettico (la cosiddetta „secessione“ unbgherese), disegnati dai grandi
maestri architetti di Budapest e messi in opera da una generazione di artisti-scalpellini apprezzatissimi da Vienna a Istanbul. Era la citta’ di Mileva Marić, moglie di Einstein e co-autrice
delle ricerche che portarono alla formulazione della teoria della relativita’. Durante la seconda guerra mondiale la comunita’ ebraica locale fu decimata dalla violenza e dall’odio delle croci
frecciate, che uccisero gente di tutte le eta’ gettandone i corpi nel fiume, insieme a quelli di serbi e di rom. Nei decenni che seguirono alla guerra, la comunita’ si ridusse ancora di piu’: i
piu’ emigrarono negli Stati Uniti, in Canada e in Israele. A Novi Sad c’e’ una delle piu’ grandi sinagoghe d’Europa, e anche fra le piu’ belle, sempre in stile eclettico belle époque. Ci vado
qualche volta, e sempre ammiro la ricchezza degli arredi. Ora la gestisce il comune, e’ un eccellente luogo per concerti grazie a un’acustica senza pari, ma non si puo’ fare a meno di
riconoscerne il carattere sacro, calzando in testa la kippah. Ora siamo al tempo della hanukkah, la festa delle luci nel calendario ebraico. Venerdi in Sinagoga suona l’ensemble klezmer di
Salisburgo. Un appuntamento da non perdere, perche’ la musica klezmer non e’ solo patrimonio culturale delle comunita’ ebraiche askhenazi, ma di tutta l’umanita’